Lolita
1962
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Regista
Kubrick rilegge Nabokov e lo espone alle intemperie della sua istrionica cinepresa, non solo in un mero esercizio di stile, ma come strumento per dissezionare una patologia. Quella stessa cinepresa che in futuro avrebbe scrutato la follia della guerra o l'alienazione spaziale, qui si posa su un dramma intimo, eppure altrettanto universale nella sua deformità. È la precisione chirurgica dello sguardo kubrickiano, quella meticolosa attenzione al dettaglio e alla composizione, a conferire all'adattamento del romanzo di Nabokov una lucidità quasi clinica, trasformando una storia di scandalo in un'inquietante meditazione sull'ossessione.
La sensualità dirompente di una quattordicenne è causa di rovinosa caduta per un intellettuale cinquantenne che, innamoratosi della giovane, ne sposa la madre per poterle stare vicino. La sua morbosa passione proromperà percorrendo il sottile limine che la divide dalla follia, un confine che Kubrick esplora con una maestria tale da rendere quasi tangibile la discesa negli inferi del desiderio proibito.
E’ straordinario notare come Kubrick agisce su questa emozione mettendone in luce gli aspetti umani e terreni, più che la turpe immoralità (che lascia volentieri ai moralisti che affossarono il film non cogliendone il genio). Il regista, lungi dal volere assolvere o condannare, sceglie la via della comprensione psicologica, una disamina quasi psicanalitica della mente contorta di Humbert Humbert. In un'epoca ancora vincolata dalle rigide maglie del Codice Hays, Kubrick compie un prodigio di evocazione, sottinteso e suggerito, là dove il libro di Nabokov poteva permettersi la più esplicita delle confessioni. Il divieto di rappresentare apertamente il rapporto sessuale tra adulto e minore costrinse il regista a sublimare l'indicibile, a trasformare l'atto in un'atmosfera, in uno sguardo, in un non detto che finisce per essere più disturbante di qualsiasi immagine esplicita. La vera oscenità, ci suggerisce Kubrick, non risiede nel gesto, ma nell'intenzione, nella persistenza di un desiderio che corrompe l'anima.
La sensualità diviene aereo gioco, ilare divertimento che si intreccia con un tormento animale che permane a livello inconscio nell’uomo. La giovane Lolita, interpretata con disarmante naturalezza da Sue Lyon, non è qui una semplice vittima passiva, ma una figura ambigua, un'adolescente che incarna tanto la ninfetta idealizzata dalla perversione di Humbert quanto una scaltra manipolatrice, pienamente consapevole del proprio potere seduttivo. Questa ambivalenza è il cuore pulsante del film, e il talento di James Mason nel ruolo di Humbert Humbert si manifesta nel suo riuscire a rendere il personaggio simultaneamente repulsivo e patetico, un uomo di cultura che si auto-inganna costantemente, mascherando il suo appetito predatorio dietro un velo di romanticismo malato.
Il film, così come il libro, è totalmente incentrato su questa insana passione che Humbert nutre per Lolita, ma arricchita dalla presenza di un'altra figura emblematica: Clare Quilty. Peter Sellers, in un'esibizione camaleontica e disturbante, veste i panni di questo intellettuale degenerato, drammaturgo e sceneggiatore che funge da controparte grottesca e amplificata della depravazione di Humbert. Quilty è l'ombra di Humbert, il suo doppio infernale, che opera senza i suoi scrupoli intellettuali, pura istanza di un'immoralità giocosa e distruttiva, elevando il film a una satira più ampia sulla superficialità e la corruzione latenti nella provincia americana. La loro odissea attraverso i motel e i paesaggi kitsch dell'America del dopoguerra, un'immagine distorta del sogno americano, diventa lo scenario di una tragedia a tinte fosche, un road movie in cui la meta non è la libertà ma la perdizione.
La scena del primo incontro è in questo paradigmatica: Humbert segue Charlotte nella visita della casa, quasi infastidito dalla petulante padrona di casa e dalle sue fatue chiacchiere, quando in giardino vede Lolita. La ragazza sta prendendo il sole e alza lo sguardo su di lui, subito Kubrick vira su uno stretto primo piano di Humbert pietrificato dalla visione. È un momento di epifania distorto, dove il sole, invece di purificare, illumina una corruzione latente. Una volta scosso dallo sbigottimento l’uomo si affretterà a confermare l’affitto della stanza presso Charlotte che con ingenuità gli chiede quale sia stato il fattore decisivo per la sua scelta, mentre Kubrick alle parole “fattore decisivo” torna con l’inquadratura sul malizioso volto di Lolita e sul suo diafano corpo. Non è solo un gioco di sguardi, ma una disvelazione dell'anima, la cristallizzazione di un'ossessione che ha trovato il suo catalizzatore.
Attraverso il suo sguardo, Kubrick riesce a farci cogliere l’intimo contrasto di questa dicotomia tra animalità e decenza, tra istinto e morale, tra trasgressione e normalità, dilatandone il processo di attuazione con una messa in scena solenne ed astuta. Il bianco e nero, opera magistrale del direttore della fotografia Oswald Morris, esalta i contrasti, le ombre, la purezza apparente e la perversione nascosta, conferendo al film un'atmosfera sospesa, quasi onirica. È un trattato cinematografico sulla psiche umana, un'esplorazione inquietante di come il desiderio possa trasformarsi in una prigione, e di come la bellezza possa essere sia fonte di ispirazione che di rovina, un capolavoro che continua a provocare e affascinare, trascendendo la sua controversa materia per affermarsi come un'indagine senza tempo sulle profondità più oscure della passione.
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