Movie Canon

I 1000 Film da Vedere Prima di Morire

Love Exposure

2009

Vota questo film

Media: 4.00 / 5

(5 voti)

Regista

Un'eruttazione tellurica di quattro ore che fonde la farsa shakespeariana con la teologia della liberazione, il cinema d'exploitation con Dostoevskij, la commedia romantica con un'overdose di anfetamine. Ecco, forse, un modo per iniziare a scalfire la superficie monolitica di Love Exposure. L'opera-mostro di Sion Sono non è un film da guardare, ma un'ordalia da attraversare, un sacramento pagano che chiede allo spettatore un atto di fede e di resistenza fisica, promettendo in cambio una forma contorta e lancinante di estasi cinematografica. In un'epoca di narrazioni compresse e fruizione parcellizzata, un'epopea di 237 minuti sulla perversione come via per la salvezza è un atto di terrorismo culturale, un magnifico e sfacciato dito medio alzato contro la sobrietà e il buon gusto.

Al centro di questo vortice narrativo c'è Yu, figlio di un pio sacerdote cattolico (un Tetsu, interpretato da Atsuro Watabe, la cui fede si è trasformata in un fanatismo opprimente dopo la morte della moglie). Pressato dalle richieste paterne di confessare peccati sempre più gravi, e non avendone da offrire, il giovane Yu si lancia in un percorso di trasgressione metodica. Il peccato diventa un dovere filiale, un'ascesi al contrario. E quale peccato più emblematico, nella società giapponese, del tōsatsu, l'arte perversa della fotografia sotto le gonne? Yu non si limita a praticarla: la eleva a una disciplina olimpica, a una forma di parkour esistenziale, diventando una leggenda nel sottobosco dei pervertiti. Il suo corpo si fa acrobazia, la sua macchina fotografica un'estensione della sua disperata ricerca di una macchia da espiare. È in questo che Sono compie il suo primo, geniale cortocircuito: la perversione di Yu non è radicata nella lussuria, ma in un amore filiale distorto e in un disperato bisogno di grazia. È un peccatore per obbedienza, un santo alla rovescia.

La sua strada incrocia inevitabilmente quella della sua "Maria", la sua epifania. Yoko, una ragazza ribelle che odia visceralmente gli uomini e la perversione, appare a Yu nel mezzo di una rissa colossale, un balletto di violenza punk-rock. In una frazione di secondo, mentre lei sferra un calcio volante, Yu immortala l'attimo fuggente e, con esso, il suo destino. Si innamora perdutamente. Il problema, ovviamente, è che Yoko è l'incarnazione di tutto ciò che lo condannerebbe. Come può un maestro del tōsatsu conquistare il cuore di una misandra iconoclasta? La soluzione, degna di Come vi piace o La dodicesima notte, è il travestimento. Yu si trasforma in "Sasori" (Miss Scorpione), un'improbabile eroina in abiti femminili che diventa la migliore amica e confidente di Yoko. L'intreccio, già di per sé rabelaisiano, si complica ulteriormente quando i rispettivi genitori vedovi si innamorano, trasformando i due protagonisti in fratellastri.

Se la prima metà del film è una commedia degli equivoci ipertrofica e surreale, un'analisi brillante dell'identità di genere, della performance e della natura feticistica dell'amore, la seconda parte precipita in un abisso di oscurità psicologica. Entra in scena la setta della "Chiesa del Punto Zero", un culto chiaramente ispirato ad Aum Shinrikyō (la setta responsabile dell'attacco con il gas sarin nella metropolitana di Tokyo nel 1995), guidata dalla melliflua e terrificante Koike. La setta offre una forma alternativa di "famiglia" e "salvezza", ma il suo vero scopo è la decostruzione totale dell'identità individuale, la cancellazione della memoria e del libero arbitrio. La Chiesa del Punto Zero e la Chiesa Cattolica del padre di Yu non sono che due facce della stessa medaglia dogmatica: entrambe esigono una confessione totale, un annullamento del sé in nome di un'autorità superiore. Sono mette in scena un'acuta critica delle strutture di potere – religiose, familiari, sociali – che cercano di imbrigliare e definire l'individuo.

È qui che Love Exposure trascende la satira per diventare un dramma quasi insostenibile sulla resilienza della psiche umana. Le sequenze di lavaggio del cervello a cui Yoko è sottoposta sono brutali, un'esplorazione quasi clinica della fragilità della memoria e dell'amore. Il mantra della setta, che la costringe a ripetere che il suo pene è l'incarnazione del male e che Yu è un nemico, è la perversione ultima: non quella sessuale, ma quella epistemologica, la distruzione della capacità di un individuo di conoscere e riconoscere la propria verità. E la lotta di Yu per salvarla diventa una crociata quasi cristologica, un percorso di sofferenza fisica e umiliazione che lo porta a toccare il fondo della depravazione pur di raggiungere la sua amata. Il suo grido disperato "Yoko!", ripetuto fino allo sfinimento, diventa una litania, l'unica preghiera rimasta in un mondo svuotato di Dio ma non di fede.

Sion Sono dirige questa materia incandescente con un'energia che ha del miracoloso. La sua regia è un assalto sensoriale. Passa da sequenze girate con la foga di un documentario a momenti di pura poesia visiva, il tutto punteggiato dall'uso ironico e martellante del "Boléro" di Ravel, che accompagna le "performance" fotografiche di Yu trasformandole in un rituale quasi sacro. Il film, originariamente di sei ore e basato vagamente sulla storia di un amico del regista finito in una setta, conserva una sensazione di urgenza e di eccesso che è la sua cifra stilistica e tematica. È un film massimalista in un'era di minimalismo, un'opera che straborda di idee, di personaggi, di sottotrame, di generi. Potrebbe essere paragonato alla furia iconoclasta della nouvelle vague giapponese di Nagisa Ōshima, ma con un'iniezione di cultura pop e di umorismo da otaku che lo rende unicamente contemporaneo. C'è dentro l'ossessione dei protagonisti di Werner Herzog, la coralità caotica di un Robert Altman o di un Paul Thomas Anderson, e la critica surreale alla religione di un Luis Buñuel. Eppure, il risultato finale è inconfondibilmente e unicamente Sion Sono.

In definitiva, Love Exposure è un film sull'amore come forma estrema di conoscenza e di resistenza. L'amore non è un sentimento gentile e rassicurante, ma una forza primordiale e violenta, un'ossessione che ti costringe a travestirti, a peccare, a combattere, a perdere te stesso per poi ritrovarti. La "perversione" di Yu, nata come risposta a un dogma religioso, si rivela essere l'unica bussola autentica in un mondo di false fedi e identità imposte. Il suo sguardo attraverso l'obiettivo, inizialmente profano, diventa l'unico in grado di vedere la vera essenza di Yoko, la sua "Maria". È un film che sostiene la tesi radicale che la salvezza non si trova nell'alto dei cieli o nelle pure dottrine, ma nel basso, nel corpo, nel desiderio, persino nel fango del peccato. Un'opera monumentale, estenuante, imperfetta e assolutamente essenziale, che non chiede di essere capita, ma di essere vissuta. Un atto d'amore cinematografico così totale e folle da diventare, esso stesso, una forma di perversione. E di grazia.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6
Immagine della galleria 7
Immagine della galleria 8

Commenti

Loading comments...