Mangiare, bere, uomo, donna
1994
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Regista
L'inquadratura di apertura di Mangiare, bere, uomo, donna è una dichiarazione di intenti. Per cinque minuti, Ang Lee ci mostra il Maestro Chu (Sihung Lung), un patriarca vedovo e il più grande chef di Taipei, che prepara la cena domenicale. Un pesce viene stordito, sventrato e fritto in un unico, fluido movimento. La carne viene tritata con una mannaia che si muove a una velocità tale da diventare un ronzio. Le verdure vengono scolpite, i brodi vengono chiarificati. La cucina come atto di controllo, come rituale, come l'ultimo linguaggio rimasto a un uomo che ha perso la capacità di comunicare con la sua famiglia. È il prologo perfetto a un film che usa il cibo non come metafora, ma come il campo di battaglia letterale dove tradizione e modernità si scontrano, piatto dopo piatto.
Questo è il terzo e ultimo film della trilogia di Ang Lee dedicata al "Padre", e ne è il culmine. Dopo aver esplorato il rapporto padre-figlio in Pushing Hands e Il banchetto di nozze, Lee torna a Taipei per analizzare il rapporto padre-figlie. Il Maestro Chu è il pilastro di un mondo che sta svanendo. È l'autorità, il custode della tradizione. Ma la sua autorità è minata da un'ironia crudele: ha perso il senso del gusto. Può eseguire le ricette più complesse del mondo a memoria, ma non può godersele. È un dio culinario che ha perso la fede. L'unica cosa che tiene unita la sua famiglia è questo pasto domenicale, un obbligo sontuoso che le sue tre figlie adulte, ormai estranee, sopportano con crescente difficoltà. La tavola da pranzo è la loro trincea: un luogo dove le tensioni non vengono mai verbalizzate, ma vengono servite, masticate e ingoiate.
Le tre figlie incarnano tre diverse risposte alla modernizzazione che sta travolgendo Taipei. Jia-Jen, la maggiore, è il fantasma della tradizione. Insegnante di chimica, è rimasta intrappolata in un passato di delusioni romantiche e ha sublimato la sua repressione in una conversione rumorosa al Cristianesimo. È rigida, spaventata dalla vita, e vede il cibo del padre quasi come un peccato. Jia-Ning, la più giovane, sembra la più sottomessa, lavorando in un fast-food (il simbolo perfetto dell'anti-cucina paterna), ma è la prima a compiere la sua rivoluzione, in modo silenzioso e pragmatico, "rubando" il ragazzo di un'amica e uscendo di casa. Il vero cuore del film, e il vero avversario del padre, è Jia-Chien, la figlia di mezzo. Lei è la "moderna": una dirigente di successo in una compagnia aerea, sessualmente liberata, che vive in un appartamento minimalista. Ma è anche l'unica che ha ereditato il talento del padre, l'unica che capisce veramente la sua arte. Il suo rifiuto di seguire le sue orme, scegliendo la carriera invece della cucina, è il tradimento più profondo. La loro è la battaglia centrale, perché sono gli unici due che parlano la stessa lingua, anche se la usano per combattersi.
Il film è strutturato come una serie di pasti, e ogni pasto è una rivelazione o un fallimento. La precisione con cui Ang Lee filma il cibo è fondamentale. La macchina da presa non si limita a osservare, ma partecipa: indugia sulla lucentezza di un'anatra laccata, sulla consistenza di un brodo, sul vapore che si leva da un raviolo. Lee capisce che, in questa famiglia, le emozioni sono troppo complesse per essere dette, quindi vengono cucinate. L'amore del padre per le figlie si manifesta nella complessità dei piatti che prepara per loro, ma è un amore che, non potendo più gustarlo, è diventato un'esecuzione meccanica, un dovere. La tragedia di Chu è quella di un artista che non sente più nulla, costretto a ripetere i suoi capolavori per un pubblico che non li desidera più.
La vera genialità del film risiede nella sua sovversione finale. Per tutta la durata, Ang Lee ci prepara alla "fuga" delle figlie. Costruisce la tensione verso il momento in cui le tre donne, una dopo l'altra, annunceranno al padre la loro intenzione di lasciare il nido, smantellando così il rituale domenicale e la struttura familiare. E quando quel pasto arriva, l'aria è carica di aspettativa. Ma Lee, con un colpo di scena di una finezza straordinaria, ribalta il tavolo. Non sono le figlie a scioccare il padre; è il padre che sciocca loro. Con un annuncio calmo e definitivo, il Maestro Chu non si rivela come il custode della tradizione, ma come il rivoluzionario più radicale di tutti. È lui che smantella la famiglia, annunciando la sua nuova vita, e in questo atto libera le figlie dal loro obbligo. Il film ci mostra che la tradizione non è un monolite statico; per sopravvivere, deve essere disposta a morire e rinascere. La risoluzione finale, che vede Jia-Chien e suo padre condividere di nuovo un pasto, ma questa volta preparato da lei, chiude il cerchio in modo perfetto. Il padre, assaggiando la sua zuppa, ritrova improvvisamente il gusto. La connessione è ristabilita, non più attraverso il controllo e il rituale, ma attraverso un passaggio di consegne, un atto d'amore finalmente reciproco.
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