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Nick Mano Fredda

1967

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Straordinaria opera prima di Stuart Rosenberg, regista con un lungo curriculum di lavori televisivi alle spalle, ma qui alla sua prima opera cinematografica, Cool Hand Luke (nel cui titolo italiano il nome del protagonista fu inspiegabilmente mutato in Nick, forse per ricercare una migliore assonanza, perdendo però la sottile allusione anglofona alla capacità di mantenere il controllo, alla proverbiale "mano fredda" nel poker o nella vita) è un film del genere carcerario girato con un meraviglioso taglio realistico capace di immergere lo spettatore in un mondo dove una netta linea di demarcazione separa reclusi e reclusori, e dove violenze e soprusi sono l’unica forma di relazione tra gli uomini. L'approccio quasi documentaristico di Rosenberg, mutuato forse dalla sua esperienza televisiva, conferisce al film una grana materica, un sudore visivo che lo distingue dai drammi carcerari precedenti, come l'onirico Birdman of Alcatraz o il crudo ma più lineare I Am a Fugitive from a Chain Gang, anticipando peraltro il neorealismo violento di future opere ma mantenendo una sua inconfondibile poetica.

Il personaggio di Nick interpretato da un leggendario Paul Newman (a cui clamorosamente fu negato l’Oscar come attore protagonista che andò a Rod Steiger per In the Heat of the Night, mentre George Kennedy ricevette la statuetta come attore non protagonista per lo stesso film) è un uomo che ha perso tutto, stritolato da una società che sente aliena e ostile, un uomo che nella più totale delle sconfitte cerca una disperata via di redenzione, o forse, più precisamente, un’affermazione disperata della sua integrità individuale. “C’è più gusto a vincere quando non si ha niente” dice Nick in una delle sue più celebri frasi, una sorta di manifesto esistenzialista che eleva la sua battaglia da personale a universale, trasformando l'umiliazione in un trampolino per la più radicale delle libertà: quella interiore. La figura di Newman, già icona di ribellione e carisma fragile, si incarna perfettamente in Luke, donandogli una profondità che travalica il semplice eroe, facendone un martire laico, un Cristo blues del sud.

Condannato a due anni di reclusione con annessi lavori forzati per aver distrutto, in un momento di furia vandalica alimentata dall’alcol, una serie di parchimetri, Nick viene recluso in un campo di prigionia a sud della Florida, in una zona rurale dove i detenuti prestavano il proprio lavoro per opere pubbliche. Il film, ambientato nel profondo Sud degli Stati Uniti, sfrutta lo scenario delle chain gangs, istituzioni brutali e storicamente vere, come metafora pungente di un sistema repressivo, quasi feudale, che mira a distruggere non solo il corpo ma anche lo spirito. Nick, devastato per aver perso la propria donna che lo ha lasciato per un uomo più ricco, rifiuta di sottomettersi al rigido sistema carcerario e all’autorità illimitata delle guardie sui prigionieri. Con la sua ostinata volontà a non piegarsi diviene ben presto un simbolo all’interno della prigione guadagnandosi l’affetto e la stima dei compagni di prigionia. Nick instaura con gli altri detenuti un rapporto profondo di amicizia, specialmente con Dragline, l’immenso boxeur che prende a ben volerlo per i suoi modi puri e spontanei.

Durante la vita carceraria Nick tenterà in ogni modo di scappare, non facendo alcun calcolo sulla breve durata della sua condanna. Il suo anelito di libertà è una radicata forma di protesta contro un sistema che lo ha sconfitto e che lo vuole umiliare. I suoi tentativi di evasione divengono ben presto leggendari all’interno della comunità carceraria e lo spirito indomito e libertario di Nick diviene gradualmente un simbolo di affrancamento a cui aggrapparsi. La sua ribellione passiva, quel suo rifiuto intrinseco di "piegarsi al sistema", lo rende un precursore degli ideali contro-culturali che stavano infiammando l'America di fine anni '60, un individuo che, nonostante la sua condizione di recluso, incarna la più pura forma di indipendenza. La celebre battuta "What we have here is a failure to communicate" pronunciata dal Capitano, figura impassibile e onnipresente dell'autorità, diviene un epitaffio per l'incomprensione e la crudeltà del potere coercitivo, un motto che risuona ben oltre le mura del carcere, parlando di un dialogo impossibile tra l'individuo e le istituzioni.

Tante le scene memorabili che hanno fatto di questo film un classico senza tempo. Una delle più celebri è senza dubbio l’incontro di boxe iniziale tra Nick e Dragline, dove i due non si risparmiano colpi tremendi, ottenendo al contempo un reciproco rispetto. Proprio quell’incontro senza esclusione di colpi segnerà infatti la nascita della splendida amicizia tra i due, metafora fulminante di come la violenza fosse l’unico linguaggio esperibile in un mondo dove ogni altra relazione è stata troncata da una società repressiva e autoritaria, ma anche di come dalla brutalità possa nascere una forma cruda di comunione. Altrettanto iconica è la scena della gara di uova sode, un'ordalia che Nick trasforma in un rito di sfida e trionfo, inghiottendo cinquanta uova e sfidando i limiti del corpo e della mente, cementando la sua leggenda tra i compagni. E ancora, il lavoro sulla strada, estenuante e ripetitivo, che Nick e gli altri detenuti trasformano in un'occasione di canto e cameratismo, un piccolo atto di sabotaggio spirituale contro l'oppressione. Il film, con la sua estetica aspra e la colonna sonora bluesy di Lalo Schifrin, non è solo un racconto di prigione, ma una parabola sull'ineludibile destino dell'uomo di fronte all'autorità schiacciante, e sulla sua capacità, anche nella sconfitta, di mantenere viva la scintilla della dignità.

Nick Mano Fredda è prima di tutto una straziante ode alla libertà, non solo quella fisica, ma soprattutto quella interiore e morale. L’affrancamento da ogni vincolo e la purezza di un uomo che, pur emarginato dagli altri uomini, diviene incarnazione di redenzione e icona indelebile di profonda umanità. La sua morte, violenta e inevitabile, non è una sconfitta, ma il suggello definitivo di una vita spesa a non piegarsi, trasformando il suo sacrificio in un monito, un grido disperato che continua a risuonare, rendendo Cool Hand Luke un capolavoro senza tempo, una riflessione amara e al contempo gloriosa sull'indomabile spirito umano.

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