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Rapina a mano armata

1956

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Prima di diventare il monolito del cinema del XX secolo, l'architetto di mondi futuri e di incubi passati, Stanley Kubrick era un giovane e famelico regista che, con Rapina a mano armata (1956), firmava non solo un noir teso e impeccabile, ma un vero e proprio manifesto di metodo. Sotto la superficie di un B-movie ad alta tensione, si agita già tutta la sua poetica, tutta la sua ossessione per il controllo, per il caos e per i sistemi perfetti destinati a implodere a causa dell'elemento più imprevedibile e difettoso di tutti: l'essere umano. Guardare questo film oggi significa osservare il DNA di un genio già pienamente formato, riconoscere la filigrana della sua arte destinata a cambiare la storia del cinema. La sua regia è già clinica, quasi divina, una macchina da presa che non empatizza con i suoi personaggi, ma li osserva come insetti in un terrario, studiandone i movimenti con la fredda curiosità di uno scienziato che assiste a un esperimento destinato al fallimento.

Il film è la cronaca della pianificazione e dell'esecuzione di una rapina a un ippodromo, un colpo da due milioni di dollari architettato dal geniale e laconico Johnny Clay (un magnifico Sterling Hayden). La struttura narrativa che Kubrick adotta è, per l'epoca e per il cinema americano, rivoluzionaria. Abbandona la linearità del tempo per costruire un puzzle temporale che salta avanti e indietro, mostrandoci gli stessi istanti da diverse prospettive, seguendo ogni membro della banda nel suo compito specifico. Questo montaggio frammentato non è un vezzo stilistico; è una scelta filosofica. Trasforma la rapina in un meccanismo perfetto, un orologio svizzero dove ogni ingranaggio deve scattare al secondo esatto. Questa ossessione per il processo e per il sistema sarà una costante nel suo cinema: dal computer HAL 9000 che impazzisce in 2001: Odissea nello spazio alla disumanizzante routine dell'addestramento militare in Full Metal Jacket. Il parallelismo con il cinema crime prima e dopo questo film è illuminante. Se il punto di riferimento del genere era Giungla d'asfalto di John Huston, un capolavoro che esplorava il lato umano e tragico dei suoi criminali, Kubrick si sposta su un piano più astratto e formale. È meno interessato all'anima dei suoi personaggi che alla meccanica del loro fallimento. In questo, Rapina a mano armata diventa il prototipo, la Stele di Rosetta del moderno heist movie. I suoi archetipi—il leader carismatico, l'uomo dall'interno, il muscolo, il cecchino, l'anello debole con la moglie infedele—saranno saccheggiati per decenni. L'influenza su un'intera generazione di registi è palese, e basta citare Le Iene di Quentin Tarantino, con la sua narrazione non lineare e la sua banda di criminali quasi astratti, per capire quanto profondo sia il debito.

Stanley Kubrick e l'idea di criminalità nella sua poetica cinematografica vanno di pari passo con la sua visione pessimistica della natura umana. I suoi criminali non sono quasi mai figure romantiche o ribelli. Sono professionisti, tecnici, o individui che tentano di imporre un ordine razionale su un mondo intrinsecamente caotico. Johnny Clay non è un bandito, è un architetto che progetta un sistema. La sua tragedia è credere di poter controllare ogni variabile, sottovalutando il potere corrosivo dell'avidità, della gelosia e della stupidità, incarnate dalla coppia composta dal debole George e dalla sua avida moglie Sherry. La criminalità, in Kubrick, è spesso il prodotto di un cortocircuito: il momento in cui un sistema (che sia una rapina, una missione militare o la stessa società) collassa sotto il peso delle imperfezioni dei suoi componenti. Alex DeLarge di Arancia Meccanica non è un semplice teppista, ma la risposta logica e violenta a una società ipocrita e repressiva. Il crimine non è un'anomalia, è una costante, un'inevitabile eruzione del caos.

L'influenza di questo film sul genere poliziesco e crime, quindi, è immensa e va oltre la semplice clonazione di archetipi. Rapina a mano armata ha insegnato al cinema successivo un nuovo modo di narrare, basato sulla frammentazione e sulla manipolazione del tempo. Ha introdotto un tono di freddo fatalismo, una distanza ironica che permette allo spettatore di ammirare l'ingegnosità del piano pur essendo pienamente consapevole del suo imminente, catastrofico fallimento. E, soprattutto, ha lasciato in eredità una delle scene finali più iconiche e beffarde della storia del cinema noir. La valigia piena di soldi che si apre accidentalmente sulla pista di un aeroporto, con le banconote che vengono risucchiate e disperse dal vento delle eliche di un aereo, è la metafora visiva perfetta della sua intera filmografia. È il trionfo del caso sul controllo, del caos sull'ordine, dell'universo che si fa beffe dei piani meticolosi degli uomini. La battuta finale di Johnny Clay, un sussurrato e rassegnato "What's the difference?", è il requiem di ogni prometeico tentativo umano di dominare il destino. Con questo film, Kubrick non ha solo girato una rapina, ha definito le regole di un intero genere per poi dimostrare, con precisione chirurgica, che alla fine l'unica regola che conta è che il banco—in questo caso, il Fato—vince sempre.

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