America Oggi
1993
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Regista
Per introdurre questo film di Altman, meritatissimo Leone d’Oro a Venezia, bisogna partire da Raymond Carver, dalla cui omonima raccolta di racconti il film trae ispirazione. Non solo dai racconti pubblicati in Short Cuts, ma anche da altri testi che Altman ha sapientemente cucito insieme, creando un arazzo narrativo che è molto più della somma delle sue parti.
Cinico e disincantato Carver dipinse sempre un’America crudelmente in bilico tra pragmatismo e opportunismo. La sua non era solo "prosa denudata", ma un vero e proprio "realismo sporco" che rifiutava ogni fronzolo stilistico per scavare nelle vite più ordinarie, spesso marginali, svelando un disagio esistenziale profondo, una rassegnazione quasi buddhista di fronte all'implacabilità delle circostanze. Le sue storie sono asettiche, in una prosa denudata di ogni orpello, parlano di gente comune che annega nei propri miserabili vizi, senza alcun tipo di ottundimento morale. Carver non giudicava, semplicemente mostrava, e in questo spietato specchio si rifletteva un'America post-industriale, disillusa, lontana anni luce dal sogno americano patinato.
Altman metabolizza la grande lezione di Carver trasponendo cinematograficamente la prospettiva carveriana senza in alcun modo stravolgerla. Anzi, la amplifica, la rende viscerale e tangibile. Questo non è un semplice adattamento letterale, ma una vera e propria traduzione di un universo tematico ed emotivo in linguaggio cinematografico, un'operazione di decostruzione e ricostruzione che solo un autore del calibro di Altman poteva realizzare con tale maestria. La dimensione morale è completamente azzerata, gli uomini e le donne sono ritratti mentre commettono squallide bassezze senza alcun tipo di giudizio. Non c'è redenzione offerta né condanna esplicita; lo spettatore è invitato a osservare, a volte con una risata amara, a volte con un senso di profondo disagio, ma sempre senza l'aiuto di una bussola morale predefinita. La loro corrotta natura è il fulcro di questo film così come lo è nei racconti di Carver, un catalizzatore di azioni che sfociano nell'indifferenza o nella casualità più brutale.
Assistiamo così ad un multiforme melting pot di storie che procedono separate eppure unite dal comune senso di decadenza che le lega (anche grazie al superbo montaggio di Suzy Elmiger). Los Angeles non è solo lo sfondo, ma un personaggio a sé stante, una metropoli tentacolare che incarna la frammentazione e l'alienazione. Le autostrade che la attraversano diventano metafore di vite parallele che si sfiorano senza mai realmente intersecarsi, se non per brevi, spesso tragici o assurdi, momenti. È una città che promette successo e libertà, ma che in realtà imprigiona i suoi abitanti in un reticolo di solitudini e vizi nascosti dietro le facciate impeccabili delle case borghesi.
Un alcolizzato che ama passare le giornate al ristorante dove lavora la moglie ascoltando i commenti lascivi degli avventori e scroccando qualche pranzo, la ragazza madre che mentre cambia i pannolini al figlio geme e ansima al telefono per le chat erotiche in cui lavora, il poliziotto che lascia a casa moglie e figli per dedicarsi alle proprie amanti, un pasticcere che realizza la torta di compleanno per un bambino e che insulta i genitori al telefono per non averla ritirata salvo poi scoprire che il loro bambino è in coma all’ospedale per un incidente stradale, i pescatori che nonostante una ragazza annegata a pochi metri da loro continuano tranquillamente a pescare, la violoncellista che odia la madre cantante di jazz ed è ferocemente ricambiata. Questi sono solo alcuni degli esempi di un mosaico umano che Altman compone con una precisione chirurgica, popolandolo con un cast stellare che si mette al servizio della visione d'autore, rinunciando spesso al glamour per abbracciare la cruda realtà dei personaggi. Attori del calibro di Julianne Moore, Tim Robbins, Jack Lemmon, Jennifer Jason Leigh, Robert Downey Jr. e Frances McDormand si fondono nel coro, diventando volti e voci di una disperazione sommessa, di una banalità che sconfina nell'orrore quotidiano. Le loro performance sono straordinariamente naturalistiche, spesso caratterizzate da dialoghi sovrapposti e un senso di spontaneità che è marchio di fabbrica del "metodo Altman", in cui l'improvvisazione e la capacità di catturare momenti di verità inaspettati sono fondamentali.
Memorabile la partecipazione di Tom Waits nel ruolo del marito alcolizzato, la sua verve recitativa dona una macabra freschezza all’episodio, incarnando la quintessenza dell'uomo comune alla deriva, con un'ironia sottile che non attenua ma, al contrario, accentua la tragicità della sua condizione. Ma il vero miracolo è come Altman riesca a dare a ogni attore, anche quelli con pochi minuti di schermo, una profondità e una rilevanza che li rendono indimenticabili.
Geniale l’interpretazione di Altman, sia nella concezione del film, che nella sua costruzione visiva: un’attenzione particolare all’intreccio di collegamenti e ai rimandi narrativi tra un racconto e l’altro che Altman dipana con maestria tenendo sempre viva l’attenzione dello spettatore. Il lavoro di Suzy Elmiger al montaggio è cruciale, una vera e propria tessitura di fili narrativi che si annodano e si sciolgono, creando un ritmo ipnotico e una sensazione di coerenza organica pur nella frammentazione. Le transizioni sono fluide, quasi impercettibili, eppure essenziali per mantenere quel senso di "destino comune" che lega personaggi ignari l'uno dell'altro. Anche il sound design è un elemento chiave, con il dialogo sovrapposto che crea un effetto di realismo caotico e vibrante, immergendo lo spettatore in un ambiente sonoro denso e vivo, tipico del cinema di Altman.
"America Oggi" non è solo un film, ma un'esperienza antropologica, un affresco impietoso ma profondamente umano della condizione americana a cavallo tra il XX e il XXI secolo, un'opera che, con la sua inesorabile lucidità e il suo umorismo nero, si conferma come uno dei vertici assoluti della filmografia altmaniana e del cinema contemporaneo in generale, precursore di quel "cinema ipertestuale" che avrebbe caratterizzato molta produzione successiva. È un film che continua a risuonare, a interrogare e a inquietare, proprio come i racconti da cui ha tratto la sua linfa vitale.
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