Movie Canon

The Ultimate Movie Ranking

Primavera, Estate, Autunno, Inverno… e ancora Primavera

2003

Vota questo film

Media: 0.00 / 5

(0 voti)

Regista

Un moto ciclico e perpetuo che si rinnova attraverso una sontuosa iconografia e una spiritualità corrotta, si potrebbe sintetizzare così il nuovo capitolo cinematografico di un regista poliedrico e imprevedibile quale è Kim Ki-Duk. Un regista (e attore in questo caso) che ama esplorare a fondo le necrosi dell’animo umano per santificarle attraverso un selvaggio uso dell’immagine e della narrazione. I suo film sono fondamentalmente storie in dissolvenza, parabole di lento decadimento attraverso un raffinato processo di involuzione dell’uomo in cui il regista rimane algido osservatore. "Primavera, Estate, Autunno, Inverno… e ancora Primavera", uscito nelle sale nel 2003 e primo film del regista coreano ad uscire anche in Italia, segna una netta cesura nella poetica di Kim Ki-Duk, configurandosi come il trapasso dalle allucinate e morbose atmosfere delle sue opere d’esordio (Coccodrillo, Bad Guy, L’Isola) verso una più patinata e canonica visione del mondo, un ascetismo tuttavia mai di maniera, in cui la disgregazione del protagonista è sempre presente, ma non è più violentemente al centro della scena. Qui, la sua estetica si affina, transitando da una cruda e spesso disturbante rappresentazione della violenza fisica e psicologica a una più meditata, quasi trascendentale analisi del dolore e della redenzione. Il suo sguardo, pur mantenendo una chirurgica distanza, si fa più contemplativo, meno giudicante, permettendo al dramma umano di manifestarsi con la forza di una parabola universale, non solo coreana. L’algida osservazione non è distacco, ma una forma di rispetto per l’intrinseca solitudine del cammino spirituale.

La storia è quella di un anziano Monaco e del suo giovanissimo discepolo che vivono in uno sperduto eremo buddista incastonato tra le montagne della Corea del Sud, un ligneo Tempio sospeso tra cielo e terra, galleggiante sulla superficie di un lago incontaminato. Intorno a questa sorta di teatro mobile ruota tutta la narrazione dell’opera che non si allontana mai da questa meravigliosa locazione. L’eremo stesso diviene un personaggio silente, un microcosmo che riflette il macrocosmo dell’esistenza, un confine permeabile tra il sacro e il profano. La sua architettura essenziale, quasi mimetica con la natura circostante, accentua il senso di un’esistenza fuori dal tempo, dove l’unico scorrere è quello delle stagioni, metafora implacabile del ciclo vitale. Le quattro stagioni segnano altrettanti punti focali a cui la vicenda dei due uomini si avviluppa, scandendo le tappe di un’evoluzione spirituale travagliata e ineludibile.

"Primavera" si apre con il discepolo bambino che viene ripreso dal Maestro per aver torturato tre animali, un pesce, una rana ed un serpente, legando loro una cordicella con un sasso e provando divertimento dinanzi alle loro sofferenze. È fortissima la simbologia legata al mondo animale che caratterizza tutta l’opera (ogni stagione ospita un diverso animale che scorrazza libero per l’eremo: un cane, un gallo, un gatto, un serpente). Questi animali non sono semplici dettagli scenografici; sono specchi dell’innocenza perduta, della crudeltà primordiale e, in seguito, della saggezza acquisita. La lezione impartita dal Maestro, la richiesta di liberare le creature con il peso al collo e la successiva, crudele rivelazione della loro sorte, è il primo, bruciante impatto del discepolo con il karma, con la conseguenza ineludibile delle proprie azioni. È il seme del dolore che germoglierà per tutta la vita.

"Estate" segna l’arrivo della fisicità con l’attrazione sessuale e l’innamoramento tra il discepolo adolescente e una giovane ragazza giunta all’Eremo per essere curata da un misterioso malessere. Il sesso tra i due ragazzi è una sorta di grimaldello che straccia la cortina di ascetismo e segna il distacco tra Maestro e Discepolo. L’Eden della purezza viene profanato da un desiderio irresistibile, naturale e, in quanto tale, ineludibile. Kim Ki-Duk lo filma con una delicatezza sorprendente, quasi una sacralità nonostante la trasgressione, ponendo l’atto sessuale non come una caduta morale in sé, ma come il catalizzatore di un’espulsione necessaria dal nido protetto, il primo passo verso il mondo e le sue inevitabili sofferenze. Con la partenza del ragazzo si chiude infatti l’Estate.

In "Autunno" l’uomo farà ritorno all’Eremo dall’ormai anziano Maestro dopo aver ucciso la moglie in un impeto di ira per un suo tradimento. Il Maestro obbligherà l’uomo ad un rito calligrafico di penitenza incidendo nelle assi dell’Eremo alcuni Mantra di Penitenza. Questa scena è un apice visivo e spirituale: la violenza del mondo esterno si scontra con la disciplina del tempio, e la penitenza calligrafica, un atto di estrema pazienza e fatica fisica, diviene la metafora del peso del peccato che erode non solo l’anima ma anche il corpo, imprimendosi sulla stessa materia del tempio, come cicatrici visibili di un’anima ferita. La stagione si chiude con l’assassino che viene arrestato dalla polizia e condotto via, mentre il Maestro purga le sue lacune di insegnante con il Suicidio in cui purifica il suo corpo con il fuoco. La sua immolazione non è disperazione, ma un ultimo, supremo atto di insegnamento, una liberazione dal peso del fallimento, un’espiazione che diviene, nell’iconografia buddista, ascensione. È il sacrificio finale di chi ha compreso che la lezione più grande si impartisce con l’esempio estremo.

L’"Inverno" segna il ritorno del discepolo all’Eremo dopo aver scontato le sue colpe. L’uomo decide di consacrare la sua vita all’ascetismo e al distacco dalle cose terrene. Ma la ruota infinita della Vita gli sottopone un giovane adepto a cui dovrà dedicare i suoi insegnamenti in un moto perpetuo e ciclico che si rinnova: un gigantesco serpente che si morde la coda, un nastro di Moebius che vibra all’infinito sopra la fragile finitezza degli uomini. Il discepolo, ora Maestro, compie il proprio ciclo, portando su di sé il peso della propria storia e della propria saggezza acquisita. L’immagine finale di lui che porta sulla schiena una statua del Buddha su per la montagna, con un sasso legato alla caviglia come aveva fatto lui stesso con gli animali da bambino, è una chiusa di rara potenza e bellezza. Non è solo la ripetizione, ma la comprensione profonda che ogni sofferenza è un gradino verso l’illuminazione, che ogni peccato è un’opportunità di redenzione, e che il ciclo della vita è un eterno ritorno non meramente circolare, ma a spirale, dove ogni passo aggiunge strati di consapevolezza. Il film non offre risposte semplici, ma propone un’ipnotica e viscerale meditazione sulla natura del peccato, del perdono, della mortalità e dell’immortalità dell’anima, consegnandoci un’opera di innegabile maestria estetica e spirituale.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6
Immagine della galleria 7
Immagine della galleria 8

Featured Videos

Trailer Ufficiale

Commenti

Loading comments...