I Quattrocento Colpi
1959
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Regista
In gran parte autobiografico, il film racconta la difficile infanzia di Antoine Doinel, i suoi rapporti con i genitori, i piccoli furti, che gli valgono la detenzione in un centro per giovani delinquenti. Non è un caso che I Quattrocento Colpi (titolo originale Les Quatre Cents Coups, espressione che significa "fare il diavolo a quattro", "combinare guai") sia universalmente riconosciuto come il manifesto fondativo della Nouvelle Vague, un'onda di rinnovamento cinematografico che avrebbe spazzato via le convenzioni del cinema "di papà". François Truffaut, qui al suo esordio alla regia di un lungometraggio dopo anni di militanza critica sui Cahiers du Cinéma, riversa sullo schermo le proprie cicatrici, le fughe da casa, i difficili rapporti familiari, l'amore per il cinema come unica salvezza e rifugio. Questa matrice personale conferisce al film un'autenticità bruciante, una sincerità disarmante che lo eleva al di là del mero racconto di formazione.
Alla fine del 1950, Antoine Doinel, 12 anni, vive a Parigi con una madre frivola e un patrigno che non lo ama. La loro casa è un micro-cosmo di incomprensione e soffocamento, un ambiente dove l'amore è un lusso e l'attenzione una merce rara. Antoine è un animo ribelle ma anche profondamente sensibile, un giovane sognatore condannato a navigare le acque agitate di un'esistenza priva di bussole affettive. La macchina da presa di Truffaut, già qui straordinariamente matura, lo segue con un misto di affetto e implacabile obiettività, catturando ogni sfumatura della sua solitudine e della sua indomita ricerca di libertà.
In un tema che gli viene assegnato come compito a casa plagia Balzac. L’insegnante gli assegna uno zero per la costernazione di Antoine, che in realtà ha voluto rendere omaggio al suo autore preferito. Antoine nutre una fervida ammirazione per Balzac. Gli ha persino dedicato un altare, una candela illumina un ritratto dello scrittore e un giorno appicca il fuoco ad una tenda, provocando l’ira del suo patrigno. Questo episodio è emblematico: non si tratta di un semplice atto di imbroglio, ma di un'affermazione maldestra di una passione, di un tentativo di comunicare un'ammirazione profonda che viene sistematicamente fraintesa dalle autorità preposte all'educazione. La scuola, anziché coltivare la curiosità e l'ingegno, si rivela un'istituzione rigida e punitiva, incapace di riconoscere il genio latente o la sensibilità dietro l'atto di "plagio". È una critica feroce al sistema scolastico che appiattisce le individualità e condanna la creatività non convenzionale.
Il ragazzo viene vessato dal professore di francese autoritario e ingiusto, motivo per il quale salta la scuola con Renè, l’amico del cuore. La loro amicizia, un legame solidale e complice, diventa l'unico baluardo contro un mondo adulto ostile e alienante. Attraverso le scorribande dei due ragazzi nelle strade di una Parigi viva e pulsante, Truffaut ci immerge in una realtà colta con la libertà formale che avrebbe caratterizzato l'intera Nouvelle Vague: riprese in esterni, luce naturale, un montaggio che respira al ritmo della vita, senza le rigidità dei set ricostruiti o della messa in scena tradizionale.
Ruba una macchina da scrivere ma viene colto in flagrante. Questo furto, più che un atto di vera delinquenza, appare come un disperato tentativo di auto-affermazione, una richiesta d'aiuto camuffata da bravata. Un giudice minorile lo mette in un centro di osservazione. Qui, la condizione di Antoine si fa ancora più drammatica, passando dalla reclusione familiare a quella istituzionale. Il centro è un luogo freddo e impersonale, dove la "rieducazione" sembra consistere principalmente nella repressione delle individualità. La sequenza del colloquio di Antoine con la psicologa, girata con un'intensa successione di primi piani fissi, rivela la sua vulnerabilità e la sua lucidità, la sua capacità di auto-analisi che contrasta con la superficialità di chi dovrebbe aiutarlo. È un momento di rara intimità e crudezza, dove la camera di Truffaut diventa quasi un occhio inquisitore, ma allo stesso tempo empatico, che non giudica ma osserva con profonda pietà.
Durante una partita di calcio Antoine sfugge alla guardia e si ritrova in riva al mare. L'iconica scena finale, un lungo travelling che accompagna Antoine nella sua corsa liberatoria verso l'ignoto, fino al celebre freeze frame sul suo volto incerto di fronte all'immensità dell'oceano, è uno dei momenti più potenti e memorabili della storia del cinema. È la metafora perfetta della sua condizione: un ragazzo in fuga, libero ma solo, che si confronta con l'orizzonte illimitato ma anche con l'incertezza del proprio futuro. La spiaggia, luogo di frontiera tra terra e mare, diventa il simbolo della sua ricerca incessante di un confine, di un senso, di un approdo che forse non troverà mai. Questo finale aperto e sospeso, privo di risoluzione catartica, fu una scelta rivoluzionaria per l'epoca, consolidando lo status del film come opera d'arte moderna e anticipando lo stile di molti registi futuri che avrebbero preferito l'ambiguità alla chiusura narrativa.
Un’opera struggente con un’introspezione amorevole per il personaggio di Antoine, alter-ego di Truffaut. Per mezzo di inquadrature voraci e quasi ossessive Truffaut indugia a fondo sui primi piani, elevandoli a strumento privilegiato per scandagliare l'anima dei personaggi, rivelandone le inquietudini più recondite. Questi close-up non sono mai gratuiti, ma funzionali a catturare le emozioni più intime e a sottolineare la solitudine dei volti in un mondo indifferente.
Sullo sfondo la denuncia verso la grettezza e l’insensibilità del mondo degli adulti nei confronti di ragazzi che molto spesso chiedono soltanto attenzione, comprensione, e una guida che non sia improntata alla repressione. Truffaut non si limita a puntare il dito; egli costruisce un ponte di empatia tra lo spettatore e il giovane protagonista, costringendoci a riflettere sulle fallacie di un sistema che etichetta e marginalizza, anziché supportare. È un'opera che parla di un'infanzia negata, di una libertà desiderata con tutta la forza dell'essere, e della ricerca ostinata di un proprio posto nel mondo. Un film toccante e memorabile, che continua a risuonare con una potenza emotiva immutata, a oltre sessant'anni dalla sua uscita.
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