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L'angelo Azzurro

1930

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Sternberg crea un mito iconografico incancellabile e il mito si incarna e prende vita grazie al carisma magnetico della Dietrich. Un sodalizio artistico, quello tra il regista e la sua musa, destinato a ridefinire i contorni stessi della star system hollywoodiana, ma che trovò qui la sua genesi folgorante. Il personaggio di Lola Lola è sensualità allo stato puro, rottura di ogni schema precostituito, ferocia scenica e eros dirompente. Non è semplicemente una figura seducente, ma una forza della natura, un uragano scatenato nel microcosmo borghese della Germania weimariana, destinato a spazzare via ogni residuo di perbenismo e ordine. Sternberg, con la sua maestria visiva e la sua sensibilità per il mondo femminile, crea un'opera di straordinaria potenza espressiva, in cui la luce, le ombre e la scenografia, debitrici del fervore del cinema espressionista tedesco – pensiamo alle distorsioni oniriche di Das Cabinet des Dr. Caligari o alle atmosfere crepuscolari di Nosferatu – contribuiscono a costruire un'atmosfera di decadenza e di fascino perverso. Ogni inquadratura è una tela dipinta con chiaroscuri caravaggeschi, un gioco di veli e rivelazioni che preannuncia il destino funesto dei suoi protagonisti. Il film, tratto dal romanzo "Professor Unrat" di Heinrich Mann, esplora il tema della passione distruttiva, dell'ossessione erotica e della perdita di identità, in un contesto sociale in bilico tra la tradizione e la modernità, un'epoca di profonde scosse e trasformazioni che avrebbe presto ceduto il passo a ben altre oscurità. Non è un caso che questa parabola di annientamento sia ambientata in un periodo così nevralgico della storia tedesca: L'angelo azzurro diventa una sorta di premonizione, un'allegoria della fragilità di un'intera nazione sull'orlo del baratro.

La narrazione si snoda attorno alla figura del professor Immanuel Rath, un rispettabile insegnante di liceo, la cui vita viene sconvolta dall'incontro con Lola, una cantante di cabaret dalla bellezza ammaliante e dal fascino irresistibile. Rath, inizialmente attratto dalla curiosità e dal desiderio di rimproverare i suoi studenti che frequentano il locale "L'angelo azzurro", cade vittima del fascino di Lola, abbandonando la sua carriera, la sua reputazione e la sua dignità per seguirla nel suo mondo di illusioni e di perdizione. Questa discesa agli inferi non è solo un dramma individuale, ma una metafora bruciante del crollo delle certezze borghesi e dell'intellettualismo accademico di fronte all'irrazionale e al primitivo. La trasformazione di Rath, da uomo rigido e autoritario a clown patetico e umiliato, è il cuore pulsante del film: Sternberg, con una regia impeccabile, mostra la progressiva discesa agli inferi del professore, sottolineando la sua fragilità e la sua dipendenza patologica da Lola. È un processo di degradazione che si compie non con fragore, ma con un'implacabile inesorabilità, un lento soffocamento dell'anima che si traduce in un'umiliazione fisica sempre più grottesca. La sua maschera di rispettabilità si sgretola, rivelando un vuoto interiore che Lola, con la sua incondizionata e quasi crudele libertà, non fa che amplificare. Quando ogni cosa si sgretolerà intorno all’uomo, persino nel momento del suo finale, straziante, grido muto, nella sua mente correranno le immagini a fuoco di una donna con cappello a cilindro, un sorriso beffardo, due lunghissime gambe colore avorio e una voce roca, profonda e indescrivibile: il sigillo indelebile della sua perdizione. Il film, peraltro girato in doppia versione (tedesca e inglese, pratica comune per le produzioni internazionali dell'epoca), contribuì a lanciare Marlene Dietrich sulla scena mondiale, consacrandola istantaneamente come icona.

Marlene Dietrich, nel ruolo di Lola ne L'angelo azzurro, incarna un'eros dirompente e multiforme, che va ben oltre la semplice sensualità fisica. La sua è una femminilità consapevole e provocante, che sfida le convenzioni sociali e sovverte i ruoli di potere in un'epoca in cui il ruolo della donna era ancora rigidamente codificato. Lola non è solo un oggetto del desiderio, un trofeo maschile; al contrario, è una donna che esercita il proprio fascino con intelligenza affilata e un'ironia tagliente, giocando con gli uomini e con le loro debolezze con la maestria di una marionettista. Il suo eros è espresso attraverso una pluralità di mezzi: la voce roca e sensuale, uno strumento di seduzione ipnotico che avvolge e irretisce; lo sguardo ammiccante, capace di promettere mondi e di celare abissi; i movimenti sinuosi del corpo, che disegnano nell'aria traiettorie di libertà e sfida; gli abiti succinti e provocanti, autentici manifesti di una sessualità esibita senza remore. La scena in cui canta "Falling in Love Again" con le gambe accavallate e un'espressione beffarda sul volto è diventata, a ragione, un'icona dell'erotismo cinematografico, simbolo di una femminilità libera e disinibita, antesignana della figura della femme fatale che avrebbe dominato il cinema noir degli anni a venire, da Phyllis Dietrichson in Double Indemnity a Kathie Moffat in Out of the Past. Ma l'eros di Lola non è solo esibizione e provocazione: è anche un'arma di seduzione e di potere, che usa per conquistare e dominare gli uomini, come dimostra la sua relazione con il professor Rath, trasformandolo da cacciatore a preda, da carnefice a vittima volontaria. Lola incarna una nuova figura di donna, emancipata e indipendente, che non ha paura di esprimere la propria sessualità e di sfidare le regole della morale borghese, rompendo schemi e prefigurando la rivoluzione sessuale del secolo. La sua performance, audace e trasgressiva per l'epoca, non solo ha contribuito a creare un nuovo modello di femminilità sullo schermo, ma ha anche cementato l'impronta indelebile di Sternberg nel plasmare l'immagine divistica della Dietrich, inaugurando una delle più leggendarie e influenti collaborazioni tra regista e attrice nella storia del cinema.

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