Yi yi - E uno... e due!
2000
Vota questo film
Media: 5.00 / 5
(1 voti)
Regista
Per tre ore, il grande maestro taiwanese Edward Yang ci invita a entrare nella vita della famiglia Jian, una comune famiglia borghese di Taipei, e a osservare, con una pazienza e un'umanità sconfinate, le loro piccole gioie, le loro silenziose disperazioni e le loro crisi di mezza età. È un'opera che ha la portata e la profondità di un grande romanzo del XIX secolo, un affresco corale che rifiuta la drammaticità convenzionale per trovare l'epica nel quotidiano. Guardare Yi Yi è un'esperienza immersiva, un atto di contemplazione che ci lascia alla fine non con delle risposte, ma con una più profonda comprensione della complessa, agrodolce e meravigliosa trama della vita stessa. Per questa sua saggezza e la sua perfezione quasi invisibile, è un pilastro del cinema mondiale e un'aggiunta essenziale al Movie Canon.
Il film, il cui titolo si traduce letteralmente come "uno uno", e che suggerisce tanto l'individualità quanto una successione, si apre con un matrimonio e si chiude con un funerale, i due grandi rituali che scandiscono il ciclo dell'esistenza. In mezzo, Yang orchestra una sinfonia di vite parallele. Tutto inizia, appunto, a un matrimonio chiassoso. È qui che la nonna della famiglia ha un ictus e finisce in coma, un evento che costringe ogni membro della famiglia a parlare al suo corpo immobile, trasformandola in una sorta di confessionale silenzioso. È sempre qui che il padre, NJ, un ingegnere informatico insoddisfatto, incontra casualmente il suo primo, grande amore di gioventù, Sherry, riaprendo una ferita mai del tutto rimarginata. Da questo prologo si dipanano le storie dei tre membri principali della famiglia, che vivono le loro vite in una sorta di gentile e malinconica solitudine condivisa.
NJ odia il suo lavoro e, spinto dal ritorno di Sherry, inizia a riesaminare i rimpianti della sua vita, in particolare la decisione di averla lasciata all'improvviso e senza una vera ragione. La sua non è una semplice crisi di mezza età, ma un'indagine filosofica sulla natura del tempo e delle possibilità. Si chiede, e ci chiede: se potessimo tornare indietro, faremmo le stesse scelte? La sua fuga temporanea in Giappone per un affare di lavoro diventa un pretesto per rivedere Sherry, un tentativo di rivivere il passato per capire se una vita diversa sarebbe stata possibile. Sta idealizzando il passato per sfuggire al suo presente infelice? Certo, ma Yang non lo giudica. Osserva il suo vagare per le strade di Tokyo e le sterili stanze d'albergo con un misto di empatia e di malinconica lucidità.
Nel frattempo, seguiamo i suoi figli. L'adolescente Ting-Ting si sente in colpa per l'ictus della nonna e, nel frattempo, vive il suo primo, confuso e doloroso triangolo amoroso. La sua storia è un'eco in scala ridotta di quella del padre: anche lei sperimenta la passione, il tradimento e il rimpianto per la prima volta. E poi c'è il personaggio più memorabile e filosoficamente denso del film, il figlio più piccolo, Yang-Yang. Vittima di bullismo a scuola e costantemente preso in giro perché "diverso", Yang-Yang affronta il mondo con una curiosità seria e quasi scientifica. La sua decisione di imparare a nuotare da solo è una metafora della sopravvivenza, certo, ma il suo vero strumento di indagine è una macchina fotografica.
In questo suo approccio corale e nella sua estetica paziente, Edward Yang si rivela come il più grande erede moderno del maestro giapponese Yasujirō Ozu. Come in un film di Ozu, la macchina da presa è spesso statica, le inquadrature sono composte con un rigore quasi architettonico e il dramma si svolge negli spazi domestici, durante i pasti, nelle conversazioni apparentemente banali. Ma se il cinema di Ozu era pervaso da una gentile rassegnazione per la fine di un'era tradizionale, quello di Yang è immerso nell'alienazione di una modernità globalizzata. La Taipei di Yi Yi è una città di vetro e acciaio, di uffici impersonali e di riflessi. Le sue inquadrature, che spesso intrappolano i personaggi dietro finestre o li mostrano come riflessi su superfici lucide, evocano la fredda malinconia urbana di Michelangelo Antonioni. Yang è il ponte perfetto tra l'umanesimo classico di Ozu e l'analisi dell'alienazione moderna di Antonioni.
Il cuore meta-cinematografico del film, e la sua intuizione più geniale, risiede proprio nella passione di Yang-Yang per la fotografia. A un certo punto, inizia a scattare fotografie alla nuca delle persone. Quando suo padre gli chiede perché, il bambino risponde con una logica disarmante: "Voi non potete vederla. Così vi aiuto io a vederla". In questa semplice frase c'è l'intera filosofia del cinema di Edward Yang, e forse del cinema stesso. Il regista, come Yang-Yang, è colui che ci mostra le parti della nostra vita che ci sono invisibili, le verità che sono troppo vicine per essere percepite. Ci mostra la "nuca" della nostra esistenza. Yang-Yang, con la sua innocenza, diventa il regista in miniatura del film, colui che ha capito che l'arte è un modo per raddoppiare la vita, per vederla da una prospettiva che altrimenti ci sarebbe preclusa.
Il film culmina con il funerale della nonna. Il ciclo si chiude. NJ ha incontrato di nuovo il suo passato e ha capito che non si può tornare indietro, ma che forse non è un male. Nel suo discorso finale, sussurra che da quando è nata Ting-Ting, è come se avesse vissuto di nuovo la sua infanzia, e che forse la vita non è così breve se la si può vivere più volte, attraverso gli altri. E poi, la scena finale. Yang-Yang legge una lettera alla nonna defunta. Le racconta le cose che ha imparato, le sue scoperte, e conclude dicendo: "Mi sento vecchio anch'io". In quel momento, il bambino ha raggiunto una saggezza profonda, la consapevolezza del ciclo della vita, della nascita e della morte. Yi Yi è un'opera di una ricchezza e di una complessità sconfinate, un film che ci insegna che ogni vita, anche la più ordinaria, contiene un intero universo di gioie e dolori degni di essere raccontati.
Generi
Galleria








Featured Videos
Trailer
Commenti
Loading comments...