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I 1000 Film da Vedere Prima di Morire

Zorba il greco

1964

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Zorba il Greco è un trattato filosofico travestito da intrattenimento popolare. L'intero edificio del film, eretto da Mihalis Kakogiannis sull'impalcatura monumentale del romanzo di Nikos Kazantzakis, poggia sulla collisione di due universi. Da un lato, Basil (Alan Bates), l'intellettuale anglo-sassone, l'uomo dei libri, della repressione, che arriva a Creta per riattivare una miniera di lignite, cercando un senso nella proprietà e nel lavoro. Dall'altro, il cosmo. Alexis Zorba (Anthony Quinn). L'incontro di questi due uomini al Pireo non è un caso; è il destino narrativo che fa scontrare l'inibizione con la pulsione di vita. Kakogiannis ci mette subito di fronte a una scelta: guardare la vita attraverso la finestra protettiva dell'analisi (Basil) o spalancare la porta e ballare con il caos (Zorba).

Il film è impensabile senza la performance che definisce una carriera, quella di Anthony Quinn. Il suo Zorba è un Golem impastato di terra cretese, alcol e desiderio. È un monumento all'eccesso. È bugiardo, ladro, donnaiolo, ma la sua moralità non risiede nelle convenzioni sociali, risiede nell'autenticità. Zorba è la terra. È l'accettazione della "catastrofe totale" (the full catastrophe), la sua filosofia riassunta nel capire che la vita include il fallimento, il dolore, la morte, e che l'unica risposta dignitosa non è la ritirata intellettuale (come farebbe Basil), ma l'immersione totale. Quinn, con la sua fisicità esuberante e i suoi occhi che hanno visto tutto, non interpreta un personaggio; canalizza un archetipo. È il contadino primordiale, il trickster mitologico che usa l'astuzia per sopravvivere e la danza per spiegare ciò che le parole non possono.

Alan Bates è l'ancora perfetta per il ciclone Quinn. Il suo Basil non è un antagonista; è il paziente. È l'uomo moderno, civilizzato, che ha perso il contatto con il primordiale. È venuto in Grecia per lavorare e scrivere, due attività che Zorba considera distrazioni dalla vera unica occupazione: vivere. La Creta fotografata da Walter Lassally (che vinse l'Oscar) è fondamentale. Non è la Grecia da cartolina delle isole turistiche. È un paesaggio arido, roccioso, polveroso. È un luogo di povertà estrema e passioni violente, un luogo pre-moderno dove le convenzioni borghesi di Basil si dissolvono all'istante. La comunità del villaggio non è un coro greco idealizzato; è una folla brutale, pettegola, pronta alla violenza, governata da superstizioni e da una moralità tribale. È in questo ambiente ostile che Basil deve decidere se i suoi libri possono davvero salvarlo.

La filosofia di Zorba non è indolore. Il film è disseminato di tragedie che colpiscono chi non ha il suo stesso scudo di vitalismo. Le due figure femminili principali sono i veri epicentri del dramma. Madame Hortense (Lila Kedrova, in una performance straziante che le valse l'Oscar) è il fantasma dell'Impero, la "Bouboulina" che vive di ricordi e illusioni. Zorba la seduce, la illude con promesse di matrimonio, le dà un ultimo, patetico momento di felicità prima che la malattia e l'abbandono (dopo la sua morte, la folla saccheggia la sua casa) la distruggano. È un ritratto crudele della vecchiaia e della solitudine. Ancora più brutale è il destino della Vedova (Irene Papas), una figura di una bellezza silenziosa e altera. Diventa l'oggetto del desiderio represso del villaggio e dell'attrazione timida di Basil. La sua decisione di cedere a Basil per una notte scatena la vendetta della comunità. La sua lapidazione pubblica (interrotta solo da Zorba) e la successiva esecuzione rituale sono scene di un orrore che gela il sangue, un promemoria che il mondo di Zorba, così "libero", è anche governato da leggi antiche e spietate.

Il culmine filosofico del film è un fallimento. L'intero progetto della miniera, la grande impresa di Basil e Zorba, collassa in una sequenza tragicomica. La teleferica costruita per trasportare il legname crolla in modo spettacolare, distruggendo l'investimento e la speranza. È la "magnifica catastrofe". E qui, il film rivela la sua tesi. Di fronte alla rovina totale, Basil, l'uomo dei libri, è paralizzato. Zorba, l'uomo della vita, ride. E poi, chiede al suo "capo" l'unica cosa che conta: "Insegnami a ballare". È in questo momento che la colonna sonora di Mikis Theodorakis cessa di essere accompagnamento e diventa protagonista. Il Sirtaki, che Theodorakis ha essenzialmente inventato per questo film, non è un ballo di vittoria. È un ballo di accettazione. È la risposta fisica, dionisiaca, all'assurdità dell'esistenza. È il gesto che trasforma il fallimento in liberazione.

Zorba il Greco è un film che ha fatto l'impossibile: ha reso popolare un romanzo esistenzialista denso, ha creato un'icona culturale globale e ha regalato al mondo una danza che simboleggia la resilienza. Kakogiannis riesce a bilanciare la brutalità della fonte letteraria con un senso di spettacolo che non tradisce il nucleo filosofico. Il film non ci dice che per vivere bisogna essere ignoranti; ci dice che l'intelletto, da solo, è una prigione. Basil, alla fine, non è diventato Zorba, ma ha imparato a ballare. Ha imparato che la vita non va capita, va vissuta, possibilmente con un bicchiere di ouzo in mano e i piedi sulla terra, pronti a sopportare il peso della prossima, inevitabile, magnifica catastrofe.

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