Amami stanotte
1932
Vota questo film
Media: 0.00 / 5
(0 voti)
Regista
Un sortilegio cinematografico prende forma nei primissimi minuti di "Amami stanotte". Prima ancora che una nota di Rodgers & Hart venga intonata, Rouben Mamoulian ci insegna a guardare con le orecchie. Parigi si desta, ma non è la città da cartolina dei turisti o il covo bohémien dei pittori. È un'orchestra. Il suono di una scopa che spazza il selciato diventa una percussione, il martello di un calzolaio un metronomo, il tappeto sbattuto da una finestra un colpo di grancassa. È una sinfonia urbana, un balletto meccanico che trasforma il prosaico quotidiano in una partitura d'avanguardia. Mamoulian, un regista che trattava la cinepresa come un pennello e il microfono come uno strumento musicale, non sta semplicemente girando un musical; sta forgiando la grammatica stessa del cinema sonoro, dimostrando che il suono può essere diegetico e musicale simultaneamente, un contrappunto ritmico all'immagine, non un suo semplice accompagnamento. Questo prologo è una dichiarazione d'intenti, un manifesto audace che posiziona il film non come un'evoluzione, ma come una rivoluzione copernicana rispetto ai musical goffi e teatrali dei primissimi anni '30.
L'incantesimo prosegue con la celeberrima sequenza di "Isn't It Romantic?". La melodia, nata dalle labbra del sarto Maurice (un Maurice Chevalier al culmine del suo fascino sornione e incontenibile), intraprende un viaggio quasi picaresco. Diventa un'entità a sé stante, un personaggio invisibile che viaggia di bocca in bocca: dal sarto al suo cliente, da un tassista a un compositore, da lui a una truppa di soldati in marcia su un treno, fino a un violinista tzigano che, infine, la suona sotto la finestra di una principessa solitaria (Jeanette MacDonald). È una delle più geniali intuizioni della storia del cinema. La canzone non è un'interruzione della narrazione, ma il motore stesso della narrazione. Traccia una linea invisibile che connette due mondi, quello proletario e vibrante di Parigi e quello aristocratico e stagnante di un castello da operetta, anticipando il loro inevitabile incontro. È metanarrazione pura: il film ci mostra come una semplice idea, una melodia, possa superare le barriere di classe e di geografia, esattamente come il cinema stesso, nel 1932, stava connettendo un pubblico globale nel buio condiviso di una sala. È un meme ante litteram, un contagio virale di romanticismo che prefigura la logica delle reti sociali con novant'anni di anticipo.
L'opera di Mamoulian è una creatura ibrida, un capolavoro che danza sul confine tra generi e sensibilità. Da un lato, possiede la raffinatezza e il brio sofisticato della commedia di Ernst Lubitsch. L'allusione, il dialogo a doppio senso, l'eleganza con cui viene trattata la sessualità sono degni del maestro tedesco. La presenza di Myrna Loy nel ruolo della Contessa Valentin, una ninfomane disinvolta che colleziona amanti con la nonchalance di un filatelico, è un puro distillato di spirito Pre-Code, un'epoca di libertà espressiva che sarebbe stata brutalmente repressa di lì a poco. Là dove Lubitsch, però, alludeva con una porta chiusa, Mamoulian gioca a carte più scoperte, usando la fluidità della macchina da presa per creare un'intimità quasi voyeuristica, come nella scena in cui il dottore visita la Principessa e il suo termometro diventa un sismografo della passione nascente. Ma "Amami stanotte" non è solo Lubitsch. C'è dentro l'eco delle avanguardie europee, del surrealismo di un Buñuel o di un Cocteau.
La sequenza della caccia al cervo ne è la prova più lampante. Mamoulian la filma interamente al rallentatore, trasformando un rituale aristocratico in un balletto onirico e spettrale. Il galoppo dei cavalli, il balzo dei cani, la fuga disperata del cervo, tutto è sospeso in un tempo mitico, quasi un sogno febbrile. La colonna sonora, con le voci dei cacciatori che intonano un canto predatorio, si fonde con le immagini in una sinestesia perfetta e inquietante. Non è più una commedia musicale, è un poema visivo sulla caccia amorosa, un'allegoria crudele ed elegante del desiderio che lega il sarto-cacciatore alla sua preda-principessa. In questi momenti, Mamoulian abbandona la Ruritania per esplorare i territori dell'inconscio, dimostrando una versatilità e un'audacia formale che lasciano senza fiato ancora oggi. È come se una fiaba dei Grimm fosse stata riscritta da Sigmund Freud e musicata da Cole Porter.
Il film, infatti, si nutre di archetipi fiabeschi – il popolano che si finge nobile per conquistare la principessa è un topos antico come il mondo – ma li rielabora con una modernità sorprendente. La Parigi di Chevalier non è un luogo di miseria, ma un alveare di creatività e solidarietà popolare; il castello della MacDonald non è un paradiso incantato, ma una prigione dorata popolata da eccentrici aristocratici decrepiti (un C. Aubrey Smith e un Charles Ruggles assolutamente perfetti), relitti di un mondo che sta scomparendo. L'amore tra Maurice e Jeanette non è solo un capriccio romantico, ma un atto sovversivo, un'iniezione di vita, sesso e vitalità proletaria nelle vene anemiche dell'aristocrazia. Il tutto avviene in un contesto storico, quello della Grande Depressione, in cui il sogno di un sarto che sposa una principessa non era semplice escapismo, ma una potente fantasia di mobilità sociale, un'affermazione che il talento e il carisma potevano trionfare sul privilegio di nascita.
Naturalmente, nulla di tutto questo funzionerebbe senza il carisma magnetico dei suoi protagonisti. Maurice Chevalier è un folletto, un trickster la cui arroganza è sempre temperata da un sorriso disarmante. Il suo accento francese, così spesso parodiato, qui diventa un'arma di seduzione di massa. Jeanette MacDonald, spesso relegata a ruoli di soprano un po' ingessata, trova con Mamoulian una libertà e una verve comica inaspettate. È spiritosa, sensuale, moderna. La loro chimica è elettrica perché non è basata su una dolcezza stucchevole, ma su una schermaglia arguta, un duello di volontà in cui la musica è l'unica possibile tregua.
"Amami stanotte" è molto più di un semplice capolavoro del genere musicale. È un saggio sulla natura stessa del cinema. Mamoulian comprese prima e meglio di molti altri che il cinema sonoro non era teatro filmato, ma una forma d'arte completamente nuova con un proprio linguaggio, una propria sintassi. Utilizza lo split screen, il dialogo in rima che sfocia naturalmente nel canto, la rottura della quarta parete (Chevalier che ammicca direttamente allo spettatore), e una mobilità della cinepresa che sembra danzare con gli attori. Ogni scelta formale non è mai gratuita, ma serve a rafforzare il nucleo tematico ed emotivo del film: l'idea che l'amore, come la musica, sia una forza inarrestabile e democratica, capace di attraversare ogni confine e di creare armonia dal caos. È un meccanismo a orologeria perfetto, un sogno lucido orchestrato da un genio visionario, un film che a quasi un secolo di distanza non ha perso un grammo della sua magia, della sua intelligenza e della sua scandalosa, irresistibile gioia di vivere.
Attori Principali
Generi
Paese
Galleria








Commenti
Loading comments...
