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Freaks

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Un film da subito entrato nel mito: ignobilmente sforbiciato dalle censure di mezzo mondo, proibito per oltre 30 anni in Europa, rinnegato addirittura dalla sua stessa casa di produzione (la Metro Godwyn Mayer), tutto questo a causa dei supposti contenuti scabrosi in cui si metteva in scena la deformità fisica dei protagonisti. L'eco di quel rifiuto, quasi un'espulsione dalla rispettabile società hollywoodiana dell'epoca, risuona ancora oggi, trasformando il film in un'icona di coraggio e scandalo. La sua travagliata genesi e la successiva damnatio memoriae non sono un mero aneddoto, ma la quintessenza del suo impatto: "Freaks" sfidò apertamente i nascenti dettami del Codice Hays e l'ipocrisia moralistica che stava per inghiottire l'industria cinematografica, rivelando una verità scomoda che l'America puritana degli anni '30 non era ancora pronta ad affrontare. In realtà è un piccolo capolavoro nella sua feroce contrapposizione della normalità e della diversità, una sublime dicotomia tra la crudeltà psicologica e la crudeltà della natura. Questa ferocia non è solo narrativa, ma visiva ed emotiva, esplorando la profonda disumanità di un mondo che eleva la perfezione estetica a parametro di valore, condannando chiunque ne sia privo. Freaks è un film che affronta il tema del "diverso" in modo radicale e provocatorio, mettendo in discussione i canoni estetici e morali della società americana degli anni '30, i cui freak show erano al contempo un'attrazione e un monito, uno specchio distorcente delle paure collettive. Browning, con il suo sguardo atarassico e privo di pregiudizi – un'approccio che aveva già esplorato con i suoi "mostri" in film precedenti come "The Unholy Three" o il celeberrimo "Dracula", sebbene con attori mascherati – ci invita a guardare oltre l'apparenza fisica, per riconoscere l'umanità e la dignità di coloro che sono considerati "mostri". Egli, che aveva un'intima conoscenza del mondo circense, avendovi lavorato in gioventù, non cerca il sensazionalismo fine a se stesso, ma una verità più profonda, quasi un'etica del ribaltamento percettivo.

La trama, concentrata in poco più di un'ora, ruota attorno alla storia di Cleopatra, una trapezista senza scrupoli che seduce e sposa Hans, un nano ricco e ingenuo, con l'intenzione di ucciderlo per impossessarsi della sua eredità. Cleopatra disprezza i "freaks" del circo, considerandoli creature mostruose e ripugnanti, con una sprezzante arroganza che incarna la cecità di una società incapace di vedere oltre la superficie. La sua abiezione morale, ben più deforme di qualsiasi anomalia fisica, diventa il vero orrore del film. Ma i "freaks", guidati da un forte senso di comunità e solidarietà, una sorta di "famiglia" più autentica e leale di molte convenzionali, scoprono il suo piano e decidono di vendicarsi, trasformando Cleopatra in una di loro. Il loro senso di giustizia, pur primitivo e brutale, nasce da una coesione inossidabile, un patto di mutua protezione che sfida l'individualismo spietato del mondo esterno. L'iconica scena del banchetto di nozze, con il grido corale "Gooble gobble, one of us!", non è solo un momento di macabra accettazione, ma un rito d'iniziazione forzata, un battesimo nel sangue e nell'appartenenza che suggella il loro legame esclusivo. Browning, con un finale agghiacciante e memorabile, rovescia i ruoli di vittima e carnefice in modo irrevocabile, mostrando come la vera mostruosità risieda nell'animo umano, e non nell'aspetto fisico. La punizione di Cleopatra non è solo una vendetta, ma un'amara ironia del destino, che la costringe a incarnare fisicamente quella "mostruosità" che lei tanto aborriva moralmente, un monito ancestrale sulla hybris e le sue conseguenze.

Un film di una modernità sconvolgente, girato con una tecnica sublime in cui furiosi piani-sequenza conducono lo spettatore attraverso l’animo marcio della protagonista e nelle carni straziate dei freaks. Browning, influenzato forse dal realismo crudo del cinema espressionista tedesco e dalla sua capacità di deformare la realtà per rivelarne le verità interiori, impiega queste lunghe inquadrature non solo per mostrare, ma per immergere, per costringere l'occhio a sostare sulle figure e sui volti, disarmando ogni tentazione di distogliere lo sguardo. Utilizza il grottesco e il macabro per creare un senso di inquietudine e di fascinazione nello spettatore, un dualismo che trascende il puro shock per approdare a una riflessione etica. Le immagini dei "freaks", con le loro deformità fisiche, possono apparire inizialmente scioccanti, quasi un pugno nello stomaco alla sensibilità borghese, ma il regista riesce a trasformare il ripugnante in bellezza, mostrando la dignità e l'umanità di questi personaggi, la loro capacità di amore, di amicizia, di sofferenza e di gioia, spesso negata loro dalla società "normale". Il film mostra come la "diversità" sia un concetto socialmente costruito, una finzione narrativa che serve a definire i confini del potere e della conformità. I freaks del circo sono considerati "mostri" dalla società esterna, un'aberrazione da esporre o da bandire, ma all'interno della loro comunità sono accettati e integrati, valorizzati per la loro unicità, e non stigmatizzati. Questo ci ricorda che la percezione della diversità è influenzata dalle norme sociali e culturali, e che ciò che è considerato "normale" in un contesto può essere visto come "diverso" in un altro. I freaks sono vittime di stigma e pregiudizio, ovvero di un'attribuzione negativa che li discrimina e li emargina dalla società. Il film mostra come lo stigma possa portare all'esclusione sociale, alla discriminazione e alla violenza, una lezione tristemente attuale. Cleopatra, con il suo disgusto e la sua crudeltà verso i freaks, incarna il pregiudizio e la paura del diverso, la superficialità di un giudizio basato unicamente sull'esteriorità. Ma Browning non si ferma qui, la sua indagine ci fa capire come il pregiudizio possa portare alla deumanizzazione, ovvero alla negazione dell'umanità dei soggetti diversi, non conformati ai canoni estetici del gruppo dominante. Cleopatra, considerando i freaks come creature mostruose, li priva della loro dignità e dei loro diritti, trattandoli come oggetti, con una spregevolezza che prelude ai più oscuri abissi della storia umana. E la deumanizzazione è un processo subdolo e strisciante che può giustificare violenza e discriminazione, un meccanismo perverso che trasforma il diverso in "nemico", in "cosa", privandolo di ogni diritto. Ed è proprio con questo grido di allarme che Browning ci lascia, alla fine del suo film, un monito senza tempo che continua a tormentare le coscienze, sfidando lo spettatore a guardare con occhi nuovi la propria definizione di "normalità" e "mostruosità".

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