Movie Canon

I 1000 Film da Vedere Prima di Morire

Happy Together

1997

Vota questo film

Media: 4.00 / 5

(2 voti)

Un tango cinematografico ballato sui frantumi di un cuore. Una danza disperata eseguita da due anime in esilio, non solo geografico, ma soprattutto esistenziale. "Happy Together" di Wong Kar-wai è meno un film e più uno stato febbrile, una vertigine cromatica ed emotiva che cattura lo spettatore in un loop di attrazione e repulsione, simile a quello che incatena i suoi protagonisti, Lai Yiu-fai (Tony Leung) e Ho Po-wing (Leslie Cheung). Il loro viaggio in Argentina, alla ricerca delle mitiche cascate di Iguazú, si trasforma rapidamente da tentativo di ricominciare a ennesima replica di un dramma consunto: una coreografia della rovina che conoscono a memoria.

Wong, qui al suo apice espressivo e forse più libero che mai, orchestra questo stallo sentimentale con una maestria che trascende la semplice narrazione. Abbandonando quasi del tutto la sceneggiatura – un aneddoto produttivo che è diventato leggenda e che riflette perfettamente il caos controllato del film – si affida all'improvvisazione dei suoi attori e all'occhio quasi divinatorio del suo direttore della fotografia, Christopher Doyle. La prima parte del film, immersa in un bianco e nero granuloso e ad alto contrasto, non è un mero vezzo stilistico. È il linguaggio visivo della depressione, della memoria logora, di un passato che si rifiuta di acquisire colore. Le pareti scrostate dell'appartamento di Buenos Aires, la luce cruda che taglia i volti, i corpi che si scontrano nel buio: tutto sembra uscito da una fotografia di Nan Goldin, se Goldin avesse documentato l'intimità disperata di due esuli in un purgatorio emotivo. Quando il colore finalmente irrompe, non porta sollievo, ma una saturazione malata, quasi tossica. Il giallo itterico delle lampade, il rosso sangue della tappezzeria, il blu profondo della notte argentina: ogni tonalità è un'aggressione sensoriale, un'eco della violenza psicologica che i due amanti si infliggono.

La loro dinamica è un trattato di codipendenza che farebbe impallidire qualsiasi manuale. Yiu-fai, il personaggio di Tony Leung, è il custode, il lavoratore, colui che tenta di imporre un ordine al caos. Ma la sua stabilità è una prigione, il suo amore una forma di controllo possessivo. Po-wing, incarnato da un Leslie Cheung la cui bellezza androgina è qui trasfigurata in una fragilità straziante e manipolatoria, è l'uccello dalle ali spezzate, il dandy autodistruttivo che può esistere solo tornando a farsi curare le ferite che lui stesso si procura. La loro relazione non è un arco narrativo, ma un gorgo. La frase "Che ne dici di ricominciare da capo?" (不如我哋由頭嚟過), pronunciata da Po-wing, non è una promessa, ma una condanna, il tasto reset di un videogioco impossibile da vincere. In questa dialettica non c'è sintesi, solo una ripetizione estenuante, quasi beckettiana, dove l'attesa di un cambiamento è la vera tortura.

Buenos Aires non è uno sfondo esotico, ma il terzo protagonista. È una città di fantasmi e di esiliati, il luogo perfetto per chi fugge da un'identità in frantumi. La musica di Astor Piazzolla, con il suo tango intriso di malinconia e passione viscerale, non è semplice colonna sonora, ma il battito cardiaco del film stesso. Il tango, come ballo, è la metafora perfetta per la relazione tra Fai e Po-wing: un duello intimo, un gioco di potere, una sequenza di passi in cui non si capisce chi guida e chi viene guidato, chi domina e chi si sottomette. Wong scelse l'Argentina anche perché era letteralmente agli antipodi di Hong Kong, il punto più lontano possibile da casa. E qui si annida il vero, non detto, cuore pulsante del film.

Realizzato e ambientato a cavallo del 1997, l'anno dell'Handover, la restituzione di Hong Kong alla Cina, "Happy Together" è un'elegia per un'identità nazionale e culturale sospesa nel vuoto. I personaggi non sono solo esuli romantici; sono l'incarnazione dell'ansia di un'intera città-stato che si sentiva alla deriva, senza radici, incerta sul proprio futuro. La loro incapacità di tornare a casa non è solo una questione di soldi o di passaporti rubati; è una condizione metafisica. Quale casa, d'altronde? Quella che hanno lasciato non esisterà più al loro ritorno. Quando Yiu-fai, nel finale, riesce finalmente a tornare, il telegiornale trasmette le immagini della morte di Deng Xiaoping. L'architetto del "un paese, due sistemi" è scomparso, e con lui un'era. Fai vaga per una Hong Kong che non riconosce più, un fantasma nella sua stessa città, e la sua solitudine è ora speculare a quella che provava a Buenos Aires. Il viaggio non l'ha salvato, ha solo confermato la sua condizione di apolide dell'anima.

In questo inferno a due, si apre uno spiraglio di grazia: Chang (Chang Chen). Un giovane taiwanese, anche lui in viaggio, che rappresenta tutto ciò che Fai e Po-wing non sono. Chang non è ancorato al passato; è un nomade proiettato verso il futuro, verso la "fine del mondo". La sua peculiarità è l'udito. Ascolta il mondo, registra i suoni, cerca le storie. Diventa il confessore silenzioso di Yiu-fai. La scena in cui Fai, incapace di parlare, singhiozza nel registratore di Chang è uno dei momenti più devastanti e catartici del cinema moderno. È un dolore puro, non performativo, affidato a un nastro magnetico. Chang porta quel nastro, quel dolore non ascoltato, al faro di Ushuaia e, metaforicamente, lo disperde nel vento. È un atto di compassione quasi trascendentale, un'assoluzione che Fai non poteva darsi da solo. Chang è la possibilità di un altro modo di esistere: non trattenere, ma attraversare; non possedere, ma testimoniare; non ripetere, ma andare avanti.

Le cascate di Iguazú, l'obiettivo iniziale del viaggio, diventano il MacGuffin emotivo del film. Quando Yiu-fai finalmente le raggiunge, da solo, la loro imponenza è quasi ironica. La natura è immensa, indifferente al suo piccolo dramma umano. La visione che doveva essere condivisa diventa il simbolo della sua solitudine definitiva. Nella sua mente, vede Po-wing accanto a sé, ma è solo un'allucinazione, il fantasma di un amore che non si può né vivere né uccidere. Wong Kar-wai, a differenza di un Antonioni che cristallizza l'incomunicabilità in architetture geometriche e silenziose, la fa esplodere in un caos sensoriale, in una danza perpetua e febbrile. "Happy Together" è il suo "Deserto Rosso", ma girato come un video musicale dei Sonic Youth, un poema visivo sulla disintegrazione che si imprime non nella mente, ma direttamente nel sistema nervoso. Un capolavoro che non finisce, ma si limita a smettere di sanguinare sullo schermo.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6

Commenti

Loading comments...