Rocco e i suoi Fratelli
1960
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Regista
Luchino Visconti si occupa di affetti familiari descrivendo i tumultuosi rapporti di 5 fratelli al seguito della madre nella città di Milano, dopo essere emigrati dalla Basilicata, in seguito alla morte del padre. Questa esodazione dal Sud rurale verso il Nord industriale, nel pieno del cosiddetto "miracolo economico" italiano, non è un mero spostamento geografico, ma un vero e proprio sradicamento culturale e spirituale, che getta la famiglia Parondi in un ambiente alieno, pulsante di nuove promesse ma anche di insidie morali e sociali.
Uno dei 5 fratelli, Rocco, intreccerà un rapporto con una prostituta, Nadia, contendendola al fratello Simone. Inizierà un dualismo esiziale, una conflagrazione di passioni e gelosie che sfocerà inevitabilmente nella tragedia. La dinamica tra Rocco, la figura del martire quasi cristologico, e Simone, l'archetipo dell'Anticristo o del Caino moderno, è il cuore pulsante e tormentato del dramma. Nadia, lungi dall'essere una semplice figura di contorno, diviene il catalizzatore di questa autodistruzione, un simbolo ambivalente di seduzione e vittimizzazione in un mondo che le nega ogni vera redenzione.
Un film analitico, descrittivo, empatico in cui Visconti impiega tutta la sua arte di fine indagatore dell’animo umano e delle passioni che lo travolgono. La sua regia, qui al culmine di una sintesi magistrale, trascende il neorealismo delle sue opere precedenti come "Ossessione" e "La Terra Trema" per abbracciare un respiro più epico e melodrammatico, anticipando la sontuosità visiva e la profondità psicologica dei suoi successivi drammi storici come "Il Gattopardo". "Rocco e i suoi Fratelli" è un'opera di "neorealismo epico", capace di fondere la documentaristica crudezza della vita quotidiana con un lirismo tragico di portata quasi shakespeariana.
Un’opera monumentale sul degrado degli affetti che ricorda da vicino le grandi passioni sotterranee che muovono i fili dei romanzi di Dostoevskij. L'eco dei fratelli Karamazov è palpabile, non solo nella pluralità dei figli maschi, ma nell'esplorazione viscerale della colpa, della redenzione, del peccato e del sacrificio. Il conflitto interiore di Simone, tormentato dalla sua stessa bestialità e dal legame indissolubile con Rocco, evoca la disperazione esistenziale di Raskolnikov. Visconti scava nelle profondità più oscure dell'anima, rivelando come l'amore, la lealtà e la rabbia possano intrecciarsi in un groviglio inestricabile di distruzione.
Centrale in quest’opera è il nucleo familiare inteso come unico potente mezzo di aggregazione, un nido pascoliano in cui riparare dalle procelle di un mondo ostile, alieno, non esperibile. Eppure, proprio in questo film, il nido si rivela un'illusione, un fragile guscio destinato a frantumarsi sotto la pressione delle forze esterne e delle corrosive dinamiche interne. Milano, la città del miraggio economico, non è un porto sicuro ma una forza disgregante, un'entità tentacolare che erode i valori tradizionali e costringe i personaggi a mutazioni dolorose. Il contrasto tra la Basilicata rurale e la Milano industriale è un leitmotiv visivo e tematico, sottolineato dalla superba fotografia in bianco e nero di Giuseppe Rotunno, capace di catturare tanto la polverosa malinconia del Sud quanto la cruda, quasi espressionistica, urbanità del Nord. Le scene di pugilato, in particolare, non sono solo sequenze sportive, ma veri e propri microcosmi del conflitto esistenziale dei fratelli, metafore della lotta per la sopravvivenza e della violenza endemica che permea la loro nuova esistenza.
La difficoltà di inserimento nella società milanese per i Parondi è lampante: sono stranieri nella loro stessa nazione, disorientati da codici sociali e morali che non comprendono. L'incomunicabilità tra loro, e con il mondo esterno, genera frustrazione e solitudine. Le emozioni represse, in particolare quelle di Simone e di Rocco, esplodono in atti di violenza, che sia fisica, come nel ring, o psicologica, nel tradimento dei legami più sacri. L'amore, sebbene accennato come possibile redenzione, assume spesso le sembianze di una maledizione, un vincolo che lega indissolubilmente i destini dei personaggi alla tragedia. La musica di Nino Rota, malinconica e avvolgente, amplifica il senso di fatalità e il pathos di questa epopea familiare, scandendo con sapienza i momenti di tenerezza e quelli di più cupa disperazione.
Un film intorno ad un lessico familiare perduto e riconquistato: ma questa riconquista non è un ritorno all'innocenza. È piuttosto una dolorosa riaffermazione di ciò che resta della famiglia dopo la purificazione catartica del dolore e della perdita. "Rocco e i suoi Fratelli" rimane un caposaldo del cinema mondiale, un'opera senza tempo sulla fragilità dei legami umani e sulla perenne lotta dell'individuo contro le forze implacabili del destino e della società.
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