Il Carretto Fantasma
1921
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Regista
Victor Sjöström è una figura di assoluto rilievo del cinema svedese, la cui impronta indelebile si estende ben oltre i confini della sua terra natia per innervare la trama stessa della storia della Settima Arte. Poliedrico uomo d’arte: sceneggiatore, regista e attore, Sjöström non fu soltanto un pioniere, ma un vero e proprio architetto del linguaggio cinematografico, capace di infondere profondità psicologica e risonanza spirituale in un mezzo ancora in fasce. Diresse star del calibro di Lon Chaney e Greta Garbo durante il suo periodo a Hollywood, contribuendo a definire l'estetica del cinema muto americano con opere di rara intensità come L’uomo che prende gli schiaffi (1924), un esempio sublime della sua capacità di sondare le pieghe più recondite dell'animo umano attraverso il dramma psicologico. Ma è con Il Carretto Fantasma (1921) che eresse un monumento di rara potenza, un'opera che rimane forse il suo film più rappresentativo e profeticamente moderno. Arcinota è l’ammirazione che Sjöström suscitò sui cineasti a venire, non ultima quella del suo illustre compatriota Ingmar Bergman, che non solo lo volle ad interpretare il personaggio principale de Il Posto delle Fragole, un ruolo intriso di autobiografismo e riflessione sulla mortalità, ma riconobbe in lui il patriarca spirituale del cinema svedese. E come dimenticare Stanley Kubrick, che mutuò da una scena de Il Carretto Fantasma la sequenza più celebre di Shining, quella in cui Jack sfonda la porta del bagno a colpi d’ascia, che troviamo quasi identica in quest'opera del regista svedese, un omaggio che trascende la semplice citazione per toccare la risonanza tematica della discesa nella follia e nel soprannaturale.
Il racconto, tratto dal romanzo "Thy Soul Shall Bear Witness!" di Selma Lagerlöf, premio Nobel per la letteratura e figura letteraria di spicco, è incentrato sulla figura di David Holm, un balordo ubriacone che ha lasciato nell’indigenza più assoluta la propria famiglia, per darsi ad una vita di vagabondaggi ed eccessi di ogni genere. La sua figura è un archetipo di degradazione morale, una tela su cui si dipinge l'abisso della miseria umana e spirituale. L’unica che, con una purezza quasi evangelica, ripone fiducia in lui e tenta invano di strapparlo a questa vita è Edit, una ragazza fragile ma di ferrea volontà che ha fondato un’associazione di ricovero dei senza tetto e che, gravemente ammalata di tubercolosi, lo invoca al suo capezzale per un’ultima, disperata riconciliazione. David, nella sua cieca indifferenza e nel suo egoismo più sordido, rifiuta di vedere Edit e lascia che la ragazza si consumi nella propria malattia, una condanna non solo per lei ma per la sua stessa coscienza. A questo punto Sjöström, con un tocco magistrale di "realismo mistico" e attraverso un artificio mitopoietico che affonda le radici nel folklore nordico, introduce la figura fantastica del Carrettiere dei Morti. Questi non è un semplice traghettatore, ma una lugubre personificazione del karma, il condottiero delle anime dei peccatori verso le sponde cineree di un Inferno senza ritorno. Il carrettiere andrà per prelevare l’anima di David, ucciso in una rissa di fine anno, ma in un gesto di clemenza cosmica, acconsentirà a concedergli un’ultima preziosa chance di redenzione, dando il via a un viaggio onirico e profondamente moralistico attraverso i fantasmi del suo passato.
Sjöström, con la sua ineguagliabile visione, sperimentò con tecniche cinematografiche all'avanguardia per l'epoca, trasformando la pellicola in un mezzo espressivo senza precedenti. Le sovrimpressioni, ad esempio, non erano un mero espediente tecnico, ma diventavano un ponte visivo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, un mezzo per manifestare la presenza spettrale, i ricordi assillanti e le intrusioni dell'aldilà nel tangibile. Queste tecniche, insieme alle angolazioni insolite che deformavano la percezione e amplificavano il senso di smarrimento, e ai contrasti di luce e ombra – un chiaroscuro drammatico che evocava l'espressionismo tedesco pur mantenendo una propria identità svedese – riuscivano a creare un'atmosfera surreale, onirica e spesso angosciante. Tali innovazioni visive, che plasmarono la grammatica stessa del cinema fantastico e psicologico, ispirarono profondamente Kubrick, che non solo le riprese ma le sviluppò ulteriormente nei suoi film, soprattutto nella capacità di rendere visibile il tormento interiore e la progressione della follia attraverso la manipolazione dell'immagine. Ma non solo Kubrick subì il fascino di Sjöström. Uno dei film più famosi di Bergman, "Il settimo sigillo", è profondamente debitore nei confronti de Il Carretto Fantasma. Entrambi i film affrontano il tema della morte in modo esistenziale, interrogando il senso dell'esistenza, della fede e del destino umano. Ed entrambi utilizzano immagini simboliche e atmosfere suggestive per creare un'esperienza visiva intensa e allegorica. Questa influenza stilistica è evidente, ad esempio, nella scena dell'incontro con la Morte ne Il settimo Sigillo di Bergman, una figura personificata, enigmatica e giocosa, chiaramente ispirata al carrettiere fantasma di Sjöström, che incarna la danza macabra in una nuova, potente forma cinematografica.
Il Carretto Fantasma è un film fondamentale per la storia del cinema, un vertice di quell'età dell'oro del cinema svedese che precedette e forse anticipò molte delle più audaci sperimentazioni europee. L'influenza di Sjöström su Kubrick e Bergman è evidente e palpabile, ma la sua portata culturale non si esaurisce a queste due grandi figure, ma coinvolge un'ampia gamma di cineasti innamorati del suo modo di fare cinema, della sua capacità di coniugare il dramma realistico con l'elemento soprannaturale, il profondo studio psicologico con la grandiosità della messa in scena. Victor Sjöström ha contribuito in maniera determinante a elevare il cinema da semplice intrattenimento a forma d'arte compiuta, esplorando temi profondi come la redenzione, il peccato, il libero arbitrio e la natura ineluttabile del destino. Lo fece utilizzando un linguaggio visivo innovativo e audace che, da magma ribollente e instabile nelle mani di altri pionieri, si solidificò ben presto in Arte pura nelle sue, trasformando il potenziale del medium in una potente macchina emotiva e intellettuale. La sua opera rimane una pietra angolare, un faro che continua a illuminare le strade del cinema d'autore, dimostrando come le grandi storie, quando raccontate con genio, siano eterne e senza tempo.
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