La Passione di Giovanna d'Arco
1927
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Regista
Carl Theodor Dreyer, con una visione che trascendeva l'estetica del suo tempo, non si limitò a campire il volto di Giovanna d'Arco in un salire di ossessivi primi piani. Questa scelta audace e quasi monomaniacale, rivoluzionaria per l'epoca del muto, non era meramente stilistica ma profondamente filosofica. Il volto di Maria Falconetti diviene la vera scenografia del film, un campo di battaglia dove si scontrano fede e oppressione, vulnerabilità e irriducibile forza spirituale. Appare ancora oggi come tremendamente efficace e assolutamente funzionale alla prospettiva intimista che Dreyer vuole dare della Santa. La cronaca agiografica è rivisitata con occhio sempre introspettivo e mai fermo alla mera cronaca esteriore. Giovanna d'Arco è prima di tutto una donna che ha diritto di soffrire per l'orrore che le viene imposto, e solo in un secondo momento appare come l'eroina ammantata di luce eterna che la storia ecclesiastica ci ha consegnato. La Santa appare sì nel suo fulgore mistico, ma anche e soprattutto in una nuova luce più umana, derivata da un’attenta indagine psicologica condotta sul personaggio e dal taglio realistico, quasi documentaristico nelle sue implicazioni emotive, di cui Dreyer era strenuo fautore. La sua era una forma di realismo trascendente, dove la verità si rivela attraverso l'intensità del singolo, piuttosto che attraverso la grandiosità dell'azione.
La trama del film segue le vicende storiche di Giovanna d'Arco, dalla sua chiamata alle armi alla condanna al rogo. Tuttavia, Dreyer non si limita a una mera ricostruzione degli eventi, benché la sua ricerca storica fosse meticolosa, ma approfondisce l'aspetto psicologico del personaggio con una profondità raramente eguagliata nel cinema. Si concentra sui suoi tormenti interiori e sulla sua lotta contro le forze oscure che la circondano: non solo i suoi carnefici fisici, ma l'intero apparato di un'istituzione dogmatica e cieca, incapace di riconoscere la purezza della fede individuale. La sequenza in cui Giovanna viene sottoposta al processo e costretta ad abiurare è particolarmente intensa, un vero e proprio calvario psicologico che, spogliando la figura di ogni retorica, rivela la sua umanità e la sua fragilità disarmante di fronte al potere inquisitorio. La figura di Antonin Artaud, nel ruolo di un inquisitore crudele e manipolatore, aggiunge un ulteriore livello di complessità alla narrazione. La sua interpretazione, carica di un'inquietante intensità, sembra quasi un premonitore squarcio sul suo futuro "Teatro della Crudeltà", dove la sofferenza fisica e psicologica diviene veicolo di verità. Celebri le scene in cui a Giovanna vengono tagliati i capelli, un rito di umiliazione e spoliazione della sua identità femminile e sacra, o in cui la Santa ritratta l'abiura estorta sotto tortura e viene condannata al rogo, un atto di suprema riaffermazione della propria fede e del proprio destino. Rilevante è la presenza nel film di Antonin Artaud, drammaturgo e catalizzatore intellettuale dell'Epoca, la cui scelta non fu casuale ma specchio della fascinazione di Dreyer per la verità nuda, scomoda, quasi violenta.
Dreyer, con la sua regia rigorosa e la sua capacità di evocare emozioni profonde, ha creato un'opera che va oltre il semplice ritratto biografico, elevandosi a archetipo universale. La pellicola è un'indagine straziante sulla natura della fede nel suo confronto più brutale con l'istituzione, sulla lotta per la libertà individuale contro la tirannia dogmatica e sul potere inestinguibile della speranza anche di fronte alla disperazione più nera. L'uso ossessivo del primo piano, che inquadra il volto senza trucco di Maria Falconetti con una straordinaria, quasi insostenibile intensità, non è solo una tecnica: è una finestra sull'anima, un invito a penetrare nelle pieghe più recondite della protagonista e a condividere visceralmente le sue sofferenze. Si narra che Falconetti si fosse rasata i capelli e avesse subito un'impressionante tortura psicologica durante le riprese, rinunciando a ogni vanità per incarnare una verità cruda, un sacrificio che si riflette in ogni singola inquadratura. Questo film ha segnato un punto di non ritorno nella storia del cinema, anticipando e influenzando correnti successive, dalla Nouvelle Vague alla ricerca di un cinema di pura espressione interiore. La sua leggenda è accresciuta dalla rocambolesca storia del negativo originale, creduto perduto e poi ritrovato in un manicomio di Oslo decenni dopo, un ritrovamento quasi mistico che sembra rispecchiare la resilienza del film stesso. "Giovanna d'Arco" è un film che continua a commuovere e a ispirare, un'opera che ci ricorda che anche le persone più forti possono essere vulnerabili e che la fede può dare la forza di affrontare le più grandi sfide. La figura di Giovanna d'Arco continua a esercitare un fascino straordinario. Essa rappresenta un punto di riferimento per tutte coloro che lottano per l'uguaglianza e la giustizia, un simbolo eterno di resilienza femminile contro l'oppressione patriarcale. La sua storia ci ricorda che anche le donne possono ricoprire ruoli di leadership e che la fede e la determinazione possono superare ogni ostacolo. La Giovanna di Dreyer è complessa e multiforme. Da un lato, è un'eroina nazionale, un simbolo di coraggio e di fede che trascende la mera santità per farsi icona di resistenza. Dall'altro, è una giovane donna che ha sofferto e che è stata ingiustamente condannata, con tutto il suo carico di umanità spezzata, di carne e spirito dilaniati. In definitiva un'opera che ha aperto nuovi orizzonti espressivi e che rimane tuttora insuperata per la sua grandezza e per la sua capacità di scavare nell'abisso dell'animo umano.
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