Nosferatu
1922
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Regista
Con il Nosferatu di Murnau si configurò per la prima volta un linguaggio, una tassonomia di immagini che divenne ben presto una Grammatica di riferimento per tutto il Cinema posteriore: una semantica con cui poter ideare e costruire nuove grandiose cattedrali di celluloide. Quel linguaggio, quella tassonomia di immagini, era innervato dalla stessa linfa vitale dell'espressionismo tedesco, corrente che mirava a proiettare sul grande schermo non solo la realtà oggettiva, ma la distorta percezione interiore, l'angoscia recondita dell'anima. Tutto questo fu possibile grazie al genio visionario di Friedrich Wilhelm Murnau. Il grande regista tedesco seppe cioè plasmare un linguaggio visivo innovativo, caratterizzato da inquadrature espressive, giochi di luce e ombra, e un uso sapiente delle scenografie che deformano la realtà per rivelarne l'essenza più tetra. L'impatto visivo del film è ancora oggi straordinario, un testamento della sua capacità di evocare il terrore attraverso la pura forma.
È importante poi ricordare che Murnau realizzò il film senza i diritti sull'opera di Bram Stoker, Dracula. Questa scelta lo costrinse a modificare alcuni elementi della trama e dei personaggi, ma gli permise anche di dare una propria interpretazione al mito del vampiro trasformando Dracula in Nosferatu, un personaggio più inquietante e meno romantico. L'espediente forzato di aggirare i diritti sull'opera di Bram Stoker, Dracula, trasfigurando il Conte nel ripugnante Orlok e il suo nome in Nosferatu – dal greco antico νοσοφόρος, nosophoros, portatore di malattia – fu una benedizione mascherata. Non una mera necessità legale, ma un atto di liberazione creativa che permise a Murnau di disancorarsi dalla linearità gotica del romanzo, per forgiare un archetipo del terrore primordiale. Il Vampiro di Murnau è una figura grottesca e mostruosa, che incarna le paure più profonde dell'uomo: non un seduttore aristocratico, ma un parassita ripugnante, un portatore di pestilenza, simile a un roditore che infesta e distrugge.
L'atmosfera del film è cupa e opprimente, creando un senso di angoscia e di disagio nello spettatore. Murnau riesce a trasmettere perfettamente l'orrore e la paura che caratterizzano il mito del vampiro, elevandoli a una dimensione quasi metafisica. Murnau non si limitò a dipingere con la luce; egli scolpì il buio. Il suo uso del chiaroscuro, mutuato dalla tradizione pittorica barocca ma reinventato per il cinema, non era un mero artificio estetico, ma uno strumento narrativo che conferiva profondità psicologica e un senso di ineluttabilità. Sequenze girate in negativo, dove il bianco diventa nero e viceversa, trasformano i paesaggi naturali in visioni da incubo. L'impiego del passo uno per le riprese dell'avanzata di Orlok, pur conferendogli una straniante, ultraterrena celerità, serve a sottolineare la sua natura aliena al tempo umano, mentre le sovrimpressioni creano un'inquietante aura spettrale che lo precede.
Murnau si ispirò alle opere di pittori espressionisti come Munch e Kokoschka, creando un'estetica visiva fortemente influenzata dalle arti figurative, ma anche dall'architettura scenografica che esaspera le linee, deformando gli spazi per riflettere lo stato d'animo dei personaggi e l'inquietudine latente. Il film è ricco di simboli: il castello di Orlok rappresenta l'inconscio, la nebbia è un simbolo della morte che avanza inesorabile, il sole rappresenta la vita e la speranza, il cui sorgere è l'unica debole arma contro l'ombra del male. La struttura narrativa del film è semplice e lineare, ma al tempo stesso ricca di sfumature psicologiche. La progressiva invasione di Nosferatu nella tranquilla cittadina di Wisborg crea un crescendo di tensione che culmina in un finale apocalittico, un'epifania del male che viene debellato non da un atto eroico, ma dal sacrificio innocente.
Wisborg, Germania, 1838. Il giovane agente immobiliare Thomas Hutter viene incaricato di concludere un affare con un misterioso cliente transilvano: il Conte Orlok. Ignaro della vera natura del conte, Hutter si reca nel suo lugubre castello, dove viene accolto da un'atmosfera di morte e decadenza. Orlok, un essere mostruoso e antico, è attratto dal sangue di Hutter e decide di seguirlo fino a Wisborg. Intanto, nella tranquilla cittadina tedesca, iniziano a verificarsi strani eventi: gli abitanti si ammalano e muoiono in circostanze misteriose. L'ombra di Orlok incombe sulla città, seminando terrore e disperazione. La moglie di Hutter, Ellen, intuisce il pericolo e cerca in tutti i modi di proteggere il marito e la sua comunità. Orlok, un'incarnazione vivente dell'orrore, rappresenta la personificazione delle paure più profonde dell'uomo: la morte, la malattia, l'isolamento. La sua figura, aggraziata e al tempo stesso grottesca, è un'allegoria della follia e della distruzione. L'interpretazione di Max Schreck nei panni di Orlok è leggendaria. La sua fisicità emaciata, le dita artigliate, le orecchie a punta e gli occhi infossati, combinati con la sua andatura rigida e spettrale, non erano il frutto di semplici trucchi di scena, ma di una metamorfosi quasi sacrificale. Schreck non 'recitava' Orlok; lo 'incarnava', al punto che la leggenda popolare, alimentata anche dal film Shadow of the Vampire, sussurra che l'attore stesso fosse un vero vampiro, prestando al ruolo un'autenticità che trascendeva la finzione.
Quest'opera non era solo un film horror; era uno specchio deformante della Germania della Repubblica di Weimar, un paese lacerato dalle cicatrici della Grande Guerra, afflitto da crisi economiche e da un profondo senso di disorientamento. Orlok, con la sua inesorabile avanzata e la sua scia di morte, poteva essere letto come la personificazione delle epidemie che avevano falcidiato l'Europa (il ricordo dell'influenza spagnola era ancora vivido), o metafora stessa del collasso sociale e morale che sembrava minacciare le fondamenta della nazione. La lotta tra Hutter e Orlok diventa una metafora della battaglia tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, ma soprattutto tra la vita e la decomposizione. Mentre Orlok si avvicina sempre più a Wisborg, gli abitanti della città si uniscono per cercare di sconfiggere il mostro, in un atto di disperata e infine vana resistenza contro un'entità che non può essere affrontata con mezzi convenzionali.
Celebre la scena del carro funebre lanciato in una folle corsa nella notte, o le sequenze suggestive dell’ombra del Conte che si staglia con i suoi inquietanti artigli sui muri divorati dal buio, quasi un'entità fisica che prelude alla sua stessa presenza. Queste immagini sono entrate di diritto nell'iconografia del terrore, influenzando generazioni di cineasti. Il Nosferatu di Murnau ha ispirato numerosi registi, da Werner Herzog con il suo omaggio filologico in Nosferatu, il principe della notte, a Francis Ford Coppola con il suo più romantico Dracula di Bram Stoker, e continua a essere un punto di riferimento ineludibile per tutti coloro che si interessano di cinema horror e di cinema espressionista. La sua tormentata storia produttiva, segnata dalla quasi totale distruzione di tutte le copie originali a seguito della causa intentata dalla vedova di Stoker, rende la sua sopravvivenza un piccolo miracolo, un testamento alla resilienza dell'arte. Un'eredità culturale stratificata e costante nel tempo che ha lasciato la sua impronta indelebile sul nostro immaginario collettivo e sull'Arte del Cinema tout court, dimostrando come il terrore più puro risieda spesso nell'allusione, nell'atmosfera e nella potenza suggestiva dell'immagine.
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