Senso
1954
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Regista
Visconti si accosta da par suo al melodramma romantico e ne raffina gli stilemi filtrandolo con uno sguardo tipicamente decadente da intellettuale mitteleuropeo. Non si tratta di una mera rivisitazione, ma di una vera e propria decostruzione analitica, quasi chirurgica, che affonda le sue radici nella sensibilità estetica e morale di un'Europa fin de siècle. Il suo passato teatrale, le sue frequentazioni letterarie (da Thomas Mann a Marcel Proust, passando per la grande tradizione operistica italiana) permeano ogni inquadratura, conferendo al film una patina di raffinato disincanto e una malinconica premonizione del declino.
Il risultato è un film dallo straordinario rigore formale da un lato, con la sua lussureggiante sequela di ritratti cesellati e fini ambientazioni, dall’altro un’opera che spinge la sua indagine psicologica dentro un amore titanico e ne scompone cinicamente gli elementi costitutivi. Ogni fotogramma è una tela vibrante, un dipinto mosso che esalta la sontuosità del Technicolor, trasformando i palazzi veneziani e le campagne venete in teatri viventi di passioni mortali. Visconti non si limita a ricostruire un’epoca; la reinventa attraverso un’estetica che è al contempo sontuosa e claustrofobica, dove la bellezza dei costumi e degli arredi cela la corruzione morale e l’imminente catastrofe personale. La sequenza iniziale all'Opera La Fenice, con il tumulto patriottico che interrompe la sublime armonia verdiana (un chiaro richiamo a La Traviata, simbolo di un certo idealismo romantico che Visconti si accinge a disfare), è un manifesto programmatico: il dramma intimo si agita inestricabilmente nel ventre della Storia, la passione privata si fonde e si confonde con quella pubblica, preannunciando la lacerazione che sarà il fulcro dell'intera narrazione.
La storia è incentrata sul tradimento alla patria da parte di una Contessa innamorata di un tenente austriaco, sullo sfondo della guerra austro-ungarica del 1866. Ma il tradimento di Livia Serpieri (una magnetica Alida Valli, qui al culmine di una maturità interpretativa che ne esalta la vulnerabilità e la forza autodistruttiva, ricordando l'intensità delle eroine dannunziane pur superandone la retorica) non è solo politico; è primariamente un tradimento di sé, un autoinganno che la conduce in un abisso di disperazione. Il suo amore per il tenente Franz Mahler (un ambiguo e affascinante Farley Granger, la cui scelta di un attore americano conferisce al personaggio un'aura di estraneità e una fisicità quasi preraffaellita, ma celante una profonda vacuità) è una fiamma purulenta, un’ossessione che la svuota di ogni dignità. L’uomo si dimostrerà ben poca cosa dinanzi al potente sentimento profuso dalla donna. Anzi, Franz è l'incarnazione stessa della vanità e dell'opportunismo, un parassita della passione altrui che si nutre delle illusioni di Livia, senza mai provare la stessa intensità né la stessa disperata sincerità. La sua superficialità è un contraltare crudele alla profondità abissale dell’inganno di Livia, rendendo il dramma della Contessa ancora più straziante nella sua solitudine e nella sua lucida follia finale.
In questo senso, Senso non è solo un melodramma personale, ma una meditazione sulla disillusione del Risorgimento, il cui ideale si dissolve nell'opportunismo e nella corruzione, rispecchiando la tragica parabola della protagonista. Visconti, discendente egli stesso dell'antica nobiltà lombarda, osserva con occhio critico e dolente il declino di una classe, di un mondo che, pur sontuoso, è destinato a perire sotto il peso delle proprie contraddizioni e della propria incapacità di adattarsi ai tempi nuovi. La guerra del 1866, con la sua sconfitta italiana a Custoza, non è un mero sfondo, ma un parallelo della disfatta interiore di Livia, una metafora di un’Italia che, pur unendosi, è lacerata da vizi atavici e da un’innocenza perduta. Il film denuncia la retorica del romanticismo risorgimentale, mostrandone il lato più sordido e opportunistico, non meno nella politica che nell’amore.
Da un romanzo di Camillo Boito, Visconti, con l’ausilio di uno stuolo eccellente di sceneggiatori (anche il grande Tennessee Williams tra questi), stravolge il romanticismo di maniera e ne fa una sorta di psicodramma di vellutata raffinatezza. La presenza di Williams tra gli sceneggiatori è particolarmente suggestiva: la sua sensibilità per le passioni distruttive, per la decadenza delle famiglie e delle anime, per i segreti inconfessabili e le frustrazioni sessuali tipiche del "Southern Gothic" americano, si fonde con la raffinatezza e il rigore intellettuale di Visconti, creando un ibrido stilistico e tematico unico. Non è un caso che il regista lo abbia voluto per amplificare quella dimensione di morbosità e alienazione che era già insita nell'opera di Boito ma che lui intendeva esplorare con una profondità e una crudeltà inedite. Il processo di adattamento fu laborioso, con diverse mani che contribuirono, da Suso Cecchi D'Amico a Carlo Alianello, fino a Giorgio Bassani, ciascuno apportando la propria sensibilità storica e letteraria. Ma il risultato è una riscrittura che trascende la fonte, proiettando Boito in una dimensione di lirismo e drammaticità viscontiana che non era affatto scontata. La scelta di girare in Technicolor, sebbene tecnicamente ardua per l'epoca in Italia, si rivelò cruciale per accentuare la carica pittorica e sensoriale del film, rendendo i colori saturi quasi una manifestazione della febbre che consuma i personaggi.
Un’opera rara e preziosa del cinema italiano, che segna una tappa fondamentale non solo nella carriera di Visconti, preannunciando capolavori sulla decadenza di un’aristocrazia e di un’epoca come Il Gattopardo e Ludwig, ma anche nell'evoluzione del melodramma cinematografico. Senso è un film che non teme di guardare nell'abisso dell'anima umana e della storia, smascherando le ipocrisie e le illusioni con una grazia e una potenza visiva che lasciano il segno. È un’esperienza cinematografica che persiste, come il ricordo di un sogno sontuoso e doloroso, un'elegia per un'epoca e per un sentimento che, pur nella sua titanica grandezza, è condannato a infrangersi contro la cruda realtà, lasciando dietro di sé solo le macerie di una passione perduta e di un ideale tradito.
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