Movie Canon

I 1000 Film da Vedere Prima di Morire

La terra trema

1949

Vota questo film

Media: 4.14 / 5

(7 voti)

L'occhio della cinepresa, in Luchino Visconti, non è mai un testimone passivo. È uno sguardo demiurgico, un bisturi che incide la realtà per svelarne la struttura mitica sottostante. E in nessun'altra sua opera questa operazione è così pura, così tellurica e così monumentale come ne La terra trema. Visto oggi, questo colosso del 1948 si erge come un monolito alieno nel paesaggio del Neorealismo, un'opera che ne adotta i dogmi – attori non professionisti, location reali, attenzione agli umili – solo per trasfigurarli in una forma di tragedia greca, solenne e ieratica. Se Ladri di biciclette è la cronaca straziante di un'anima persa nella metropoli, La terra trema è l'epica corale di un intero cosmo che lotta contro un Fato che ha le fattezze spietate dell'economia di mercato.

Il punto di partenza, il DNA letterario che pulsa in ogni fotogramma, è Giovanni Verga. Visconti non adatta I Malavoglia, lo assorbe e lo restituisce per immagini, compiendo una delle più prodigiose traduzioni intermediali della storia. La prosa scarna e oggettiva del Verismo verghiano, quel suo ritrarsi per far parlare "la cosa" stessa, diventa nel film la lunga durata dei piani sequenza di G.R. Aldo. La macchina da presa osserva, con una pazienza che è al contempo scientifica e compassionevole, i riti della pesca, le contrattazioni con i grossisti, le dinamiche familiari nella casa dei Valastro. L'impersonalità dell'autore si trasforma in un'oggettività visiva che, paradossalmente, trabocca di pathos. Visconti, l'aristocratico marxista, il "Conte Rosso", trova in Verga, il conservatore galantuomo, lo strumento perfetto per orchestrare la sua sinfonia dei vinti. Entrambi, da posizioni ideologiche opposte, guardavano alla stessa immutabile realtà: la legge del più forte, il ciclo eterno di speranza e sconfitta che governa l'esistenza degli ultimi.

La ribellione di 'Ntoni Valastro, il giovane pescatore che tenta di spezzare il giogo dei grossisti ipotecando la casa per mettersi in proprio, non è un semplice atto di insubordinazione sociale. È un gesto di hybris, la tracotanza dell'eroe eschileo che sfida gli dèi. Ma gli dèi, in questo mondo disseccato dal sole e corroso dalla salsedine, non sono sull'Olimpo. Sono i padroni del mercato, entità invisibili e onnipotenti la cui volontà si manifesta attraverso la fluttuazione del prezzo del pesce. La tempesta che distrugge la barca dei Valastro non è un mero incidente, è la risposta violenta e impersonale del cosmo a un tentativo di alterarne l'ordine prestabilito. Il mare, fotografato da Aldo con una magnificenza che lo rende personaggio vivo e pulsante, è al contempo fonte di vita e strumento di una giustizia arcaica e crudele. Divora la speranza di 'Ntoni con la stessa indifferenza con cui offre il suo pescato.

Visconti impiega una grammatica visiva di una complessità sconcertante per un'opera che si ammanta di "realtà". Il suo uso della profondità di campo non è quello documentaristico di un Rossellini, né quello espressionista di un Welles. È un dispositivo spaziale che inscrive i personaggi nel loro ambiente in modo inestricabile. Nelle scene all'interno della casa dei Valastro, i volti in primo piano, le figure sullo sfondo e gli oggetti della vita quotidiana coesistono nello stesso quadro, creando un affresco umano densissimo. Lo spazio non è uno sfondo, è un destino. La casa è nido e prigione, il villaggio è comunità e coro giudicante, il mare è promessa e tomba. Questa composizione rigorosa, quasi pittorica – che evoca la solennità di un Masaccio o la composizione corale di un Bruegel il Vecchio –, eleva la cronaca a un livello di astrazione formale che fa di La terra trema un unicum. È neorealismo passato al filtro di una cultura figurativa secolare, un'opera che sembra orchestrata da un Eisenstein che avesse letto Verga e ascoltato Mahler.

E poi, c'è la questione della lingua. La scelta radicale di far recitare gli abitanti di Aci Trezza nel loro dialetto siciliano stretto fu un atto di rottura di portata incalcolabile. All'epoca, rese il film quasi incomprensibile al pubblico italiano, tanto da necessitare di una voce narrante (inizialmente dello stesso Visconti, poi sostituita) che fungesse da traduttore e commentatore, come il coro di una tragedia classica che spiega l'azione al pubblico. Questa scelta non è un vezzo filologico. È una potentissima affermazione politica e culturale: la lingua dei vinti, il loro codice più intimo e inaccessibile, viene posta al centro della narrazione, rifiutando l'omologazione della lingua nazionale e restituendo ai personaggi una dignità che il mondo esterno nega loro. L'universo dei Valastro è un sistema chiuso, con le sue leggi, i suoi suoni, il suo linguaggio. Il fallimento di 'Ntoni è anche il fallimento di chi tenta di uscire da questo sistema usando le sue stesse regole, solo per scoprire che il gioco è truccato fin dall'inizio. In questo, la sua parabola ricorda quella di certi eroi dei videogiochi "roguelike": ogni tentativo di rompere il ciclo ("run") è destinato a scontrarsi con le meccaniche ineluttabili del sistema, reimpostando la condizione di partenza in un loop di frustrazione esistenziale.

Meta-testualmente, La terra trema è un'opera sul guardare e sull'essere guardati. I pescatori si scrutano, i grossisti li valutano, le donne del villaggio spettegolano dalle finestre, e la cinepresa di Visconti li osserva tutti. Questa rete di sguardi crea una pressione sociale palpabile, un panopticon a cielo aperto dove ogni deviazione dalla norma è immediatamente registrata e sanzionata dal giudizio della collettività. Quando la famiglia Valastro cade in disgrazia, l'isolamento è totale. La stessa comunità che prima li invidiava ora li emargina. È la legge spietata del branco, un meccanismo di sopravvivenza che non può permettersi il lusso della pietà per chi fallisce.

Il film, finanziato inizialmente dal Partito Comunista Italiano per un documentario sulla Sicilia e poi trasformatosi in questo affresco epico, fallì commercialmente ma si impose come un evento culturale. È un'opera che sfida le categorie. Non è abbastanza "puro" per i dogmatici del neorealismo, troppo politico per i puristi dell'arte, troppo lento e austero per il grande pubblico. Eppure, la sua influenza sotterranea è immensa. Si sente il suo afflato epico nel cinema di un Francesco Rosi o dei fratelli Taviani; si percepisce la sua ricerca di una verità antropologica in Pasolini. La terra trema non è un film che si limita a raccontare una storia di sfruttamento. È un'esperienza fisica, una partitura visiva e sonora che ci immerge in un tempo immobile e circolare. Il ritorno finale di 'Ntoni al mare, sconfitto ma non domato, costretto a vendere di nuovo la sua forza lavoro ai grossisti che aveva sfidato, chiude il cerchio in modo implacabile. Non c'è catarsi, non c'è salvezza. C'è solo il ritmo eterno delle onde, l'odore del sale e la consapevolezza che la terra, sotto i piedi dei disperati, trema da sempre e forse tremerà per sempre. È la più grande e spietata poesia cinematografica sulla dignità della sconfitta.

Paese

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6
Immagine della galleria 7

Commenti

Loading comments...